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L’ARCIVESCOVO AI LECCESI PER LA FESTA PATRONALE

MESSAGGIO DELL’ARCIVESCOVO MICHELE SECCIA ALLA CITTA’

NELLA SOLENNITÀ DEI SANTI PATRONI ORONZO, GIUSTO E FORTUNATO
Piazza Duomo, Lecce 24 agosto 2019
A voi, carissimi fratelli e sorelle in Cristo, ai sacerdoti, ai diaconi, ai religiosi e alle religiose, agli amici rappresentanti delle istituzioni, a tutti gli abitanti di questa Città, ad ogni figlio di questa amata Chiesa di Lecce, ai pellegrini ed ai turisti giunti in questa terra baciata dal sole e fecondata dal sangue dei nostri tre Testimoni della Fede: Oronzo, Giusto e Fortunato, a ciascuno, giunga il mio saluto da questa piazza che, in una cornice di infinita bellezza, raccoglie la storia e la vita di un popolo che da oltre duemila anni, nel solco tracciato dal primo Pastore, lo stesso Vescovo e martire che stasera
onoriamo come Padre fondatore e Patriarca di questa comunità cristiana, cammina nel tempo con fatica e fiducia verso la meta tracciata dal Maestro.
Avrei voluto parlarvi come lo scorso anno dall’agorà della città, da piazza Sant’Oronzo, ma ragioni logistiche ci hanno convinti a tornare qui. Alle origini, dove tutto ha avuto inizio.

Ai piedi di questa Cattedrale eretta su una Pietra edificante: Gesù Cristo morto e Risorto! E che dopo secoli e secoli di generazioni fedeli al Vangelo, continua ancora oggi ad essere Madre, custode della Verità, che ci
accoglie e ci sazia con il cibo che non muore per renderci una sola famiglia.

In questa serata di festa per Lecce e per tutto il Salento il vostro Pastore vuole parlarvi di Speranza. La fede e la carità identificano la vita di un cristiano, di colui che nell’incontro con Gesù, ha sperimentato l’Amore vero,
scevro di fragilità e traboccante di gratuità.

Un Amore entusiasmante ed eterno che va condiviso con il fratello della porta accanto, con l’ammalato, con il senzatetto, con l’anziano, con l’immigrato, con l’emarginato… con il fratello che ha smarrito la Speranza, quasi paralizzato dalle difficoltà del cammino.
Un Amore che dobbiamo imparare a donare anche agli uomini e alle donne “schiavi” del gioco d’azzardo e malati di ludopatia. Alle persone sole e disperate perché schiacciate dal prestito ad usura… E qui a Lecce, amici
miei, ce ne sono purtroppo tante. Sono poveri che bussano alle nostre porte e che hanno bisogno del nostro aiuto.
Come gli altri. Attenzione però a non confondere la speranza con il sogno
sinonimo di illusione, con la misera realizzazione di un desiderio, con l’ottimismo effimero. Ricordiamo sempre ciò che scrive San Paolo ai Romani, fratelli miei carissimi, “nella Speranza siamo stati salvati” (Rm 8,24).

Per questo stasera insisto sulla Speranza.
Papa Francesco, lo scorso ottobre, in una sua omelia, è ricorso ad una delle sue similitudini: l’uomo che vive nella Speranza, vive nell’attesa gioiosa allo stesso modo della donna che aspetta un bambino. Ogni istante della
gravidanza è motivo di gioia, legata al cambiamento, alla vita che cresce giorno dopo giorno, che si muove dentro, fino alla nascita del bimbo tanto desiderato.
La Speranza sta proprio nel saper gioire e nel vivere in pienezza ogni attimo, ogni opportunità, ogni incontro.
Proprio come la mamma in attesa che si prepara all’incontro con la vita che nasce ogniqualvolta va dal medico per un controllo, quando si appresta a preparare la culla e il corredino, quando sceglie il nome con il papà, quando si fa accarezzare il grembo dai fratellini… Una serie di innumerevoli ‘incontri’ che pregustano la gioia della nascita, ognuno dei quali è intriso di Speranza.
Carissimi, in un momento storico di grande crisi a tutti i livelli e che ha le finestre spalancate alla sfiducia, alla rassegnazione, fino alla disperazione, a quale mensa sederci per nutrirci di speranza? Alla mensa del Pane e della Parola che illuminano il nostro cammino; alla mensa della preghiera per vivere nell’intimo la nostra amicizia con Gesù; alla mensa delle periferie esistenziali: con le famiglie ferite, con i bambini che subiscono la separazione, con i giovani smarriti e senza prospettiva, con i carcerati, con i nostri amici di Borgo San Nicola, desiderosi di cambiare vita…
Non sbagliamo mai mensa: sono questi i nostri banchetti della Speranza. Sarà la mensa, infatti – sulla scia del nostro progetto pastorale “Ascolta popolo mio” -, il centro del cammino di questa Chiesa nell’anno di grazia che sta per iniziare: dalla mensa domestica (la famiglia in ascolto)
alla mensa eucaristica (la comunità in ascolto).
Miei cari, la speranza è la vita di una città nella quale l’incontro con
l’altro, anche laddove procura sofferenza o lascia insinuare il dubbio, diventa sempre un’opportunità per essere migliori e vivere una cittadinanza responsabile.
Lo so, non è facile. Ma la speranza cristiana è la stessa forza che ha dato coraggio ai nostri tre santi patroni che conoscevano bene la frase del vangelo di Matteo, «Sarete odiati da tutti a causa del mio nome» (Mt 10,22). Ma il loro desiderio di incontrare Cristo e di testimoniarlo ha prevalso sulla paura del martirio.
Oronzo, Giusto e Fortunato sono stati uomini “controcorrente” consapevoli come dice ancora Papa Francesco che “La persecuzione non è una contraddizione al Vangelo, ma ne fa parte. Però, Gesù rassicura i suoi
dicendo: «Perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati» (Mt 10,30)”. Come dire che nessuna delle sofferenze dell’uomo, nemmeno le più nascoste, sono invisibili agli occhi di Dio. Ce lo ricorda il salmo 39: «Ho
sperato nel Signore ed egli su di me si è chinato.

Ha dato ascolto al mio grido e mi ha liberato» (Sal 39).
C’è qualcuno in mezzo a noi, infatti, che è più forte del male, più forte delle mafie, delle trame oscure, di chi lucra sulla pelle dei disperati, di chi schiaccia la persona umana con prepotenza e la discrimina, di chi non si prende cura della Casa Comune?
Chi di noi è più forte del sistema di corruzione che purtroppo minaccia anche la politica e le istituzioni? Chi di noi è più forte del dramma della Xylella che sta distruggendo le nostre campagne? Chi di noi è più forte
dei vicini fumi dell’Ilva e di Cerano che procurano malattie incurabili? Nessuno di noi.
Ma Gesù ci indica la via: non tocca a noi essere persecutori, ma perseguitati; non arroganti, ma miti; non venditori di illusioni, ma annunciatori della speranza.
Come i nostri santi patroni: anche a costo del martirio.
Per questo, Lecce mia, Città-Chiesa, Noi stasera davanti ai simulacri dei nostri santi patroni, ci impegniamo a trasformarti in una città migliore, in una comunità unita e forte. A riscoprire il valore della legalità non solo rispettando le regole ma soprattutto diventando nel nostro piccolo “primi cittadini”, cioè appassionati responsabili del nostro condominio, della via in cui abitiamo, del nostro quartiere.
Lecce mia, noi ci impegniamo ad amarti di più vincendo la tentazione dell’indifferenza ed orientando ogni nostra fatica verso il bene comune. Siamo pronti ad aprire la porta di casa e del cuore a chi è in credito con la vita e con la fiducia.
Anche i poveri, incontrandoci, impareranno a
conoscere la Speranza.
E se è vero che dal sangue dei martiri, dei nostri martiri,
può nascere un fiore, noi ci impegniamo affinché in questa città, nasca più amore.
L’altra mattina – e concludo -, guardando dalla finestra del mio studio, la cima del campanile dove sventola una banderuola che ricorda l’icona del santo patrono, mi è venuta alla mente una felice espressione di don Franco
Lupo rivolta a Sant’Oronzo: Mmoscia ienti e caccia iettature (traduco: indica la direzione del vento e allontana il male).
Davvero il mio cuore si è riempito di Speranza. Dall’alto, il nostro Patrono non solo ci mostra la via indicandoci la direzione del vento dello Spirito ma, sulla strada che ci conduce alla santità e che tanti altri nostri concittadini
hanno percorso prima di noi – Bernardino Realino, Giustino de Jacobis, Filippo Smaldone, solo per citarne alcuni –, Oronzo ci guida e ci protegge da ogni male.
Mmoscia ienti e caccia iettature. Che Dio stasera dandoci la sua benedizione, ci doni anche la forza di essere suoi testimoni. Ci doni di vivere la Speranza cristiana, soprattutto nel martirio nascosto: il nostro nel compiere bene e con amore il nostro quotidiano dovere. Grazie e così sia.
+ Michele Seccia

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