venerdì, Marzo 29, 2024
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Yara: preso muratore e padre di famiglia di 44 anni

Un normale controllo stradale è risultato sufficiente ieri sera, ai carabinieri i quali hanno estratto il Dna che è risultato “perfettamente coincidente” con quello trovato sugli slip di Yara Gambirasio.

E’ quello di Massimo Giuseppe Bossetti, 44 anni, incensurato: ne sono convinti gli inquirenti e investigatori che si occupano del caso di Yara Gambirasio.

L’esame del Dna che lo indicava come figlio naturale dell’autista di autobus Giuseppe Guerinoni, scomparso nel 1999. Bossetti era già stato individuato: apparteneva a quel gruppo di persone che gli investigatori ipotizzavano potessero essere, in qualche modo, coinvolti nel delitto.

Yara, 13 anni, promessa della ginnastica artistica, era uscita dalla palestra per tornare a casa, distante poche centinaia di metri, ma non era mai arrivata.

Dopo tre mesi di ricerche senza sosta, con tutti i mezzi possibili e centinaia di uomini tra forze dell’ordine e volontari della Protezione civile, il suo corpo fu trovato  il 26 febbraio successivo.

Bossetti vive a Mapello, che da Brembate di Sopra dista poco più di un chilometro.

E’ muratore e le indagini si erano in particolare concentrate su chi lavorava nel mondo dell’edilizia: questo a causa delle polveri di calce trovate sul corpo e, soprattutto, nelle vie respiratorie di Yara.

Poi c’è stata l’estrazione del Dna, sono state sentite decine di testimoni, senza trascurare nemmeno la più flebile voce di paese e aveva cominciato a restringersi il cerchio delle donne con cui poteva aver avuto una storia.

Alla fine l’hanno trovata e da lei sono arrivati a Bossetti, che i carabinieri del Ros hanno prelevato nel pomeriggio in un cantiere di Dalmine in cui stava lavorando.

Davanti al pm Letizia Ruggeri, che l’ha interrogato nella caserma dei carabinieri di Bergamo, si è avvalso della facoltà di non rispondere.

Però ha dichiarat: “Sono sereno”. Di fatto respingendo le accuse. Quando il corteo di vetture con a bordo Bossetti è uscito dalla caserma per portarlo in carcere ci sono stati applausi e incitamenti ai carabinieri.

Le decine di persone radunate davanti alla caserma, hanno urlato: “assassino” e “devi morire”. Il suo avvocato, Silvia Gazzetti, nominato d’ufficio, ha solo precisato che “l’accusa è in relazione all’omicidio di Yara Gambirasio”. Non sa ancora quando dovrà presentarsi per l’udienza di convalida del fermo davanti al gip.

E, soprattutto, dovrà chiarire la presenza del suo Dna sul cadavere di Yara. Dalle analisi scientifiche svolte da esperti di genetica è risultato, infatti, “altissimo, al punto da non lasciare dubbi”.

Adempimenti finali – dicono gli investigatori – per affermare definitivamente che quella mano omicida non veniva da lontano, ma era “dietro l’angolo” e ha vissuto per oltre quattro anni tenendo dentro di sé e con i suoi famigliari il terribile segreto.

Che il marocchino Mohamed Fikri, nulla centrava con il caso Yara.

Chi esprime particolare soddisfazione è il ministro dell’interno, Angelino Alfano, e non solo per la conclusione di un’inchiesta lunga e difficile, ma perché si è così dimostrato che “l’Italia è un Paese dove chi uccide e chi delinque viene arrestato e finisce in galera”. Riferendosi anche all’arresto di Carlo Lissi, che a Motta Visconti ha ucciso la moglie e i due figli, Alfano ha potuto dire che “può passare del tempo o può finirci subito”, ma la galera “è il destino che attende i criminali”.

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