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Celebrazioni e ricordo della figura del Capitano dei Carabinieri Ettore Bianco

Celebrazioni e ricordo della figura del Capitano dei Carabinieri Ettore Bianco, comandante in capo della battaglia di Bosco Martese.

L’Associazione Nazionale Partigiani D’Italia (A.N.P.I.) della provincia di Teramo, nell’80° anniversario della Resistenza Italiana organizza  con il Patrocinio del: Comune di Teramo, Provincia di Teramo, Università degli Studi di Teramo,  nella mattinata di venerdì 12 aprile prossimo venturo, presso l’Aula Magna dell’Università degli Studi di Teramo le celebrazioni e ricordo della figura del Capitano dei carabinieri Ettore Bianco, comandante in capo della  Battaglia di Bosco Martese, nota come primo scontro in campo aperto tra forze partigiane e nazifascisti, avvenuto il 25 settembre del 1943.

Saranno presenti dirigenti dell’ANPI nazionale, i sindaci di Corigliano D’Otranto (LE) e di Bologna, comuni di nascita e morte di Ettore Bianco, massime autorità civili e militari di Teramo e provincia, associazioni combattentistiche, delegazioni di studenti universitari e di tutti gli istituti superiori delle scuole cittadine e provinciali.

Si segnala che, tra i relatori, figura il Comandante della Legione Carabinieri “Abruzzo e Molise” – Gen. B. Antonio Neosi, già Direttore del Museo Storico dell’Arma, che parlerà del ruolo dei Carabinieri nelle vicende storiche della resistenza.

Capitano dei Carabinieri Ettore BIANCO, nato a Corigliano d’Otranto (LE) il 30 gennaio 1917, partigiano combattente, morto a Bologna il 31 giugno 1962, decorato di Medaglia d’Oro e Medaglia di Bronzo al Valor Militare.

  • Medaglia d’Argento al Valore Militare

Motivazione: «Comandante della Compagnia Carabinieri di Teramo all’atto dell’armistizio, con fedeltà, con decisione e con pronta iniziativa, raccoglieva forze per contrastare l’invasione tedesca. Nella località di Bosco Martese radunava militari in servizio, cittadini volontari e qualche decina di ex prigionieri alleati, organizzando un complesso di 1.500 uomini disponendo di numerosi automezzi e di una batteria. Attaccato il 25 settembre da un battaglione tedesco, volgeva in fuga il nemico, infliggendogli serie perdite e facendo prigioniero il comandante. Nei giorni successivi, respingeva nuovi attacchi di forze sempre crescenti e dotate di numerose artiglierie.  Convinto di non poter più resistere ulteriormente in battaglia campale, mutava la formazione in gruppi di guerriglia, distruggeva i materiali non trasportabili, rompeva il contatto con il nemico e gettava il seme della lunga e valorosa lotta partigiana successivamente combattuta nella zona.

Bosco Martese (Teramo), 25 – 26 e 27 settembre 1943».

  • Medaglia di Bronzo al Valore Militare

Motivazione: «Capitano dei Carabinieri, già distintosi all’atto dell’armistizio per pronta, patriottica e coraggiosa iniziativa, dopo l’occupazione della zona da parte dei tedeschi, animava e capeggiava la resistenza armata di formazioni partigiane lottando per 10 mesi in condizioni rese particolarmente difficili dal clima e da massicci rastrellamenti condotti dal nemico. Causava danni ai materiali di guerra, infliggeva sensibili perdite, insidiava efficacemente il transito sulla via Salaria. In ogni circostanza dava ripetute e belle prove di capacità e di coraggio.

Zona di Teramo e di Ascoli Piceno, 29 settembre 1943 – 13 luglio»

  • In un articolo de “Il Centro – Edizione Pescara”[1] del 24.9.2013, dal titolo “Un giorno di fuoco Settanta anni fa Bosco Martese” (di Costantino Di Sante), si legge che “Il combattimento di Bosco Martese fu definito da Ferruccio Parri la «prima nostra battaglia in campo aperto» a cui «tutti i resistenti italiani rendono onore». Nonostante questo riconoscimento, nel suo 70° anniversario in molti ancora ignorano cosa sia accaduto. Anche nel dibattito pubblico nazionale la battaglia continua a essere dimenticata. Eppure fu uno dei pochissimi scontri, all’indomani dell’armistizio, che vide le forze partigiane sconfiggere le truppe tedesche. Oltre l’aspetto epico, a renderla unica furono anche le circostanze che portarono centinaia di civili teramani, antifascisti, soldati italiani, prigionieri di guerra e internati stranieri a prendere parte alla battaglia. Questo fu di fatto uno dei primi esempi, sul suolo nazionale, di quell’unità d’intenti internazionale indirizzata a liberare l’Italia e l’Europa dal nazifascismo.

La battaglia si svolse nella località che si trova a circa 30 chilometri da Teramo, sui Monti della Laga. Questo luogo in dialetto è conosciuto come Ceppo. Si racconta che questo nome derivi dalla presenza di un tronco di un colossale albero che, malgrado un fulmine ne avesse incenerito i rami, per anni era rimasto in piedi. Cosa spinse, nel settembre del 1943, centinaia di teramani a raggiungere questo luogo a oltre mille metri di altitudine per combattere i tedeschi? Sicuramente una parte di essi, la più politicizzata, fu indirizzata dal “Comitato insurrezionale” che si era costituito a Teramo dopo l’8 settembre. Capeggiato dal medico antifascista Mario Capuani, alle sue riunioni parteciparono diversi antifascisti teramani. Tra i più attivi i comunisti guidati da Ercole Vincenzo Orsini e gli azionisti. Nei loro incontri, pur con diverse visioni, cercarono di pianificare come riorganizzare le forze disponibili per difendersi da un eventuale attacco dei tedeschi alla città, fino alla decisione del 21 settembre di concentrarsi al Ceppo.

Gli altri, non secondari protagonisti, furono alcuni dei militari che a Teramo si trovavano ancora nelle caserme. La decisione di salire in montagna fu presa in primo luogo dal capitano d’artiglieria Giovanni Lorenzini. In netto contrasto con gli ordini ricevuti dai suoi superiori, di non opporre resistenza in caso di attacco tedesco, Lorenzini iniziò a trasportare il materiale della sua batteria a Bosco Martese. Quando il 19 settembre con i suoi uomini giunse sul posto, qui trovò i fratelli antifascisti Felice e Antonio Rodomonti che vi si erano stabiliti per sfuggire a possibili ritorsioni.

Tra il 20 e il 24 settembre si verifica quasi un pellegrinaggio verso il Ceppo. Oltre ai soldati, arrivano oltre un centinaio di stranieri. Questi sono ex prigionieri di guerra e internati fuggiti dai campi di concentramento. In gran parte inglesi e jugoslavi, ma anche alcuni statunitensi, canadesi, australiani, scozzesi, indiani e neozelandesi. Circa un migliaio sono i civili, di diverse estrazioni sociali e politiche, che salgono in montagna. Gran parte di essi motivati dalla volontà di «combattere il nemico», altri vi giungono per pura curiosità.

Nel frattempo prende corpo l’organizzazione militare, il cui comando viene affidato al capitano dei carabinieri Ettore Bianco. Divisa in tre compagnie: quella del partito d’Azione, quella “Estera” e quella dei comunisti; comandate rispettivamente dall’avvocato Felice Mariano Franchi, dal tenente colonnello Dushan Matiyasevic e dal tenente di artiglieria Francesco Di Marco. Queste sono affiancate dalle formazioni Rodomonti e Ammazzalorso e da un Reparto servizi comandato dal tenente colonnello Guido Taraschi. Il 25 settembre una colonna tedesca, composta da una trentina di camion, dopo aver attraversato la città viene indirizzata da un confidente verso il luogo dove sono concentrati i partigiani. Alle 12.30, avvenne la battaglia che dura circa tre ore.

Secondo alcune relazioni partigiane, furono almeno 50 i tedeschi uccisi, 5 i camion e 2 le autovetture distrutte. Sconfitti, i tedeschi si ritirarono, prima però si vendicarono uccidendo cinque ostaggi catturati a Torricella Sicura, al Mulino di De Jacobis. Nei giorni seguenti, per rappresaglia, trucidarono 3 carabinieri e un militare nella località di Pascellata e Mario Capuani. I resistenti, temendo la reazione tedesca, decisero di organizzarsi in piccoli gruppi dando vita alla lotta di Liberazione che nel Teramano si protrasse per nove mesi. Questi primi partigiani ebbero spesso l’appoggio e l’assistenza delle donne teramane. Tra le tante che si contraddistinsero per l’attività svolta, Margherita Ammazzalorso, Clara De Ciccio, Leonilde Di Felice, Lina Melasecchi. Non ultima Wjlma Badalini, staffetta e figlia del partigiano Nicola, all’epoca capostazione a Teramo e commissario politico della formazione Rodomonti che, il 25 settembre 1945, organizzò la prima commemorazione della battaglia». 

  • Di recente, la figura del Cap. Ettore BIANCO è stata compendiata nel libro “Il partigiano salentino Ettore Bianco. 1917-1962” , di Dante BLAGHO[2], edizioni Grafiche Giorgiani – 2022[3]. 
  • Scrive il Prof. Mario SPEDICATO[4] che: «la scelta di biografare un partigiano originario del Salento sul piano storiografico può costituire una novità non trascurabile. Il Salento non ha conosciuto questo movimento antifascista e anti-nazista non perché fuori dalla portata delle operazioni militari, ma per il semplice fatto che i tedeschi rinunciano nel Mezzogiorno d’Italia a difendere stabilmente le loro posizioni logistiche. In estrema sintesi, scelgono di ritirarsi per costruire le loro barriere difensive nel Settentrione, in zone considerate più strategiche. 

Per questa ragione la resistenza partigiana ha avuto il suo teatro operativo soprattutto nel centro-nord, dove si era ammassato l’esercito nazifascista in seguito alla risalita della penisola italiana da parte degli alleati angloamericani.

La parte orientale del Mezzogiorno d’Italia, quella che coincide grosso modo con la regione pugliese, resta, tranne isolati episodi insurrezionali seguiti da rappresaglie naziste, quella meno toccata dal fenomeno della resistenza, lasciando aperte le porte persino al re in fuga da Roma.

Per individuare i protagonisti, originari anche della Puglia, dell’opposizione antifascista bisogna guardare altrove, soprattutto in altre parti dell’Italia occupata, dove appunto si dispiega il potenziale militare dei partigiani finalizzato a contrastare l’esercito hitleriano e a liberare in via definitiva la nazione dalla presenza soffocante del regime mussoliniano.

In questi luoghi operativi si trovano uomini della resistenza anche di origine salentina, come il capitano dei carabinieri Ettore BIANCO, biografato da Dante BLAGHO in questa breve e puntuale monografia.

Per costruire questo ritratto di resistente l’autore ha fatto quasi esclusivamente ricorso alla documentazione orale, corredandola di episodi in cui si è trovato coinvolto per la conoscenza diretta che avuto con il protagonista. Storia e storie che seppur venate da una certa familiarità e vicinanza affettiva non perdono il loro significato di testimonianza, anzi reggono come fonti autentiche e attendibili alla prova dei fatti narrati, tutti circostanziati e ben documentati. Un’indagine apprezzabile che ha tuttavia bisogno di alcune importanti integrazioni che riguardano soprattutto il teatro operativo in cui Ettore Bianco ha espresso la sua azione di contrasto militare, quello del Teramano e dell’Ascolano, dove si è incrociato con altre formazioni di resistenti, da lui ben coordinate nello spegnere l’offensiva (e le brutalità) del nemico nazi-fascista.

Blagho ha ricostruito queste vicende, sottolineando che la formazione partigiana di cui Ettore Bianco è stato il capo indiscusso, sino a prendere il suo nome, non era la sola attiva nella zona, ma ha avuto a fianco altre compagini con le quali doveva necessariamente elaborare strategie (di avanzamento e di ripiegamento), per rendere meno devastanti e dolorose le rappresaglie naziste. Su questo versante la ricerca ancora non ha fornito elementi probanti che possano illuminare il fenomeno della resistenza in maniera meno episodica, così come finora gli studi di settore disponibili sono riusciti a ricostruire.

Esplorare in maniera organica l’esperienza della resistenza nel Teramano e nell’Ascolano serve non solo a collocare adeguatamente Ettore Bianco nel contesto fin troppo ramificato di un’azione corale contro il nazifascismo, ma anche a valutare nel suo insieme quanto peso attribuire ad un’opera di contrasto messo in campo da piccole formazioni partigiane nel liberare l’Italia dal dominio hitleriano. Il percorso biografico tracciato da Blagho resta quindi aperto ad altre non trascurabili integrazioni, con l’auspicio che non venga ignorato dalle nuove generazioni di ricercatori.

Il punto fermo da cui partire e che è alla base di questa monografia, così come costruita dall’autore, rimane chiaro e incontestabile: Ettore Bianco  insieme ad altri resistenti hanno consentito che il Salento, lontano dai teatri di guerra partigiana partecipasse attivamente alla liberazione della dittatura nazi-fascista, riscattando una terra che la storiografia di settore aveva in maniere arbitraria del tutto escluso, confinandola in una zona grigia dove la reazione al regime resta fievole, se non proprio assente».

Fonte Università del Salento: «Il Prof. Mario Spedicato ha studiato presso le Università di Bari e di Roma. Si è perfezionato a Parigi alla Maison des Sciences de l’Homme sotto la guida di Fernand Braudel, Alberto Tenenti e Maurice Aymard. Ha partecipato a convegni nazionali ed europei, ha svolto seminari presso diverse università europee, tra cui Madrid, Bilbao, Salamanca, Siviglia, Valladolid, Budapest, Vienna, Parigi, Grenoble, Tirana, ecc. Ha insegnato Storia della Puglia Metodologia della ricerca storica presso l’Università degli Studi di Bari e Storia Economica presso l’Università della Calabria. Dirige tre collane di studi: a) Biblioteca di Cultura Meridionale dell’editore Conte di Lecce; b) Cultura e Storia dell’editore Panico di Galatina; c) Medit-Europa del medesimo editore. Attualmente è direttore Erasmus per la Spagna. Dal 1998 è presidente della Società di Storia Patria di Lecce e direttore della relativa rivista L’Idomeneo».

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