Xylella in Puglia: scienza, sfide e futuro da salvare

La notizia dei quattro ulivi infettati dalla Xylella a Bisceglie scuote profondamente il cuore pulsante della Puglia, una terra che da sempre vive e respira olivicoltura. Non c’è dubbio: la Puglia è la prima produttrice italiana di olio d’oliva, con numeri impressionanti e un ruolo di primissimo piano anche a livello europeo. Tuttavia, dietro i dati apparentemente solidi si nascondono questioni complesse, sfide scientifiche e sociali che meritano una riflessione profonda e rigorosa.

Il racconto di una produzione che cresce, come nel caso della OP Oliveti Terra di Bari, con fatturati milionari e conferimenti di milioni di chili di olio, è sicuramente confortante. Ma è altrettanto vero che i margini di guadagno, così come sono presentati, lasciano intendere una situazione economica più fragile di quanto sembri. Dietro le cifre si cela la realtà di una filiera che deve confrontarsi con costi elevati e un’incertezza crescente, a causa della minaccia che incombe: la Xylella fastidiosa.

È necessario dunque sfatare alcuni luoghi comuni che si sono intrecciati in questi anni di lotta contro la malattia. La diffusione della Xylella non è stata una sorpresa per gli esperti: sin dal 2013 la comunità scientifica ha lanciato allarmi precisi. Eppure, la risposta è stata frammentata, spesso ostacolata da incomprensioni, proteste, e talvolta da una diffidenza nei confronti della scienza e delle azioni di contenimento. È facile, però, liquidare tutto questo come un semplice “scetticismo popolare”: bisogna riconoscere che le preoccupazioni ambientali e sociali sono legittime e vanno affrontate con dialogo e trasparenza.

Dal punto di vista tecnico, l’uso di agrofarmaci e la rimozione degli ulivi infetti rappresentano solo una parte della soluzione. La letteratura scientifica internazionale ci insegna che la lotta alla Xylella deve essere multifattoriale: ricerca di varietà resistenti, pratiche agro-ecologiche, monitoraggio dei vettori e strategie integrate sono fondamentali. Ignorare questi aspetti significa rischiare di affrontare un’emergenza con armi incomplete.

Non si può inoltre non considerare l’importanza della collaborazione internazionale e delle risorse comunitarie. La Puglia, come parte dell’Unione Europea, dovrebbe essere al centro di una strategia condivisa e coordinata, che unisca scienza, politica e comunità locali. Chiedere un commissario straordinario con poteri speciali può essere uno strumento utile, ma non è una bacchetta magica. Senza fondi adeguati, senza un piano organico e senza il coinvolgimento di tutti gli attori, rischiamo di inseguire un’emergenza che continua a espandersi.

Infine, non dimentichiamo l’impatto sociale ed economico che una crisi come questa comporta. Non basta solo pensare alla distruzione degli ulivi: l’olivicoltura è fonte di lavoro, reddito e identità culturale per migliaia di famiglie. Per questo, è indispensabile mettere in campo anche politiche di resilienza, diversificazione e sostegno alle comunità rurali, affinché la crisi diventi occasione di innovazione e rilancio.

In conclusione, l’allarme è più che giustificato. Ma serve una risposta scientificamente fondata, socialmente inclusiva e politicamente coordinata. La Puglia, la sua gente e il suo paesaggio meritano di più di proclami allarmistici o di facili scorciatoie. Meritano un futuro in cui la scienza e la comunità lavorino insieme per salvare un patrimonio unico al mondo.

 

-          Antonio Bruno

per approfondire: https://centrostudiagronomi.blogspot.com/2025/06/xylella-in-puglia-scienza-sfide-e.html

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