Un'altra informazione è possibile

di Antonio Bruno

CASTIGLIONE D’OTRANTO, SALENTO — In un’epoca in cui i media sembrano spesso complici della disumanizzazione, riducendo le guerre a titoli urlati e le tragedie a statistiche, qualcuno prova a tracciare una strada diversa. Qui, tra gli ulivi secolari del Salento, dal 29 al 31 agosto si terrà il primo Corso di Alta Formazione in "Giornalismo di Pace", organizzato dal GUS e dal Centro Interdisciplinare Scienze per la Pace dell’Università di Pisa, in collaborazione con Casa delle Agriculture. Un esperimento audace, gratuito e accreditato dall’Ordine dei Giornalisti, che sfida la narrazione tossica dei conflitti.

Perché il giornalismo di pace?

«Viviamo una fase storica senza precedenti», dichiarano gli organizzatori. «Le crisi si moltiplicano: ambientali, sociali, geopolitiche. Eppure, i media spesso normalizzano la violenza invece di smascherarne le cause». Il corso si propone di rispondere a una domanda cruciale: il giornalismo può essere strumento di pace? O, al contrario, alimenta polarizzazioni, semplificando conflitti che richiedono invece profondità d’analisi?

Non si tratta di un’utopia. È una questione di scelte: quali storie raccontare, quali voci amplificare, quali parole usare. Un giornalismo di pace non ignora le atrocità, ma rifiuta di trasformarle in spettacolo. Cerca connessioni invece di contrapposizioni, smonta la retorica dell’"noi contro loro", restituisce dignità alle vittime senza farne icone passive.

La guerra dell’informazione

Il programma è un manifesto contro la banalità del male mediatico. Si parlerà di:

  • Conflitti dimenticati, quelli che non finiscono in prima pagina.

  • Linguaggio tossico, che trasforma esseri umani in "ondate", "minacce", "numeri".

  • Decolonizzazione dello sguardo, perché la verità non ha un solo punto di vista.

  • Crisi climatica, la madre di tutte le guerre future, già in corso ma raccontata a frammenti.

Alice Pistolesi (Atlante delle Guerre), Sara Manisera (Collettivo FADA), Elvira Mujčić (scrittrice bosniaca, testimone della pulizia etnica), e altri esperti guideranno lezioni e laboratori. Si analizzeranno casi concreti: come i media occidentali hanno negato il genocidio palestinese, come il racconto delle migrazioni alimenta paure, come il linguaggio bellicista infetta persino le notizie sul clima.

Un atto di resistenza

Il corso non è solo teoria. È un’immersione in pratiche giornalistiche che rifiutano la complicità con la violenza sistemica. «Ogni scelta redazionale è politica», spiega Federico Oliveri, direttore scientifico del corso. «Anche il silenzio lo è».

E mentre i grandi media inseguono click e audience, qui si prova a costruire un’alternativa. Senza finanziamenti miliardari, ma con qualcosa di più raro: l’ostinazione di chi crede che le parole possano cambiare il mondo.

Come partecipare

Le iscrizioni (gratuite) scadono il 22 agosto. Per i giornalisti, tramite il portale dell’Ordine; per tutti gli altri, inviando CV e lettera motivazionale a segreteria@pace.unipi.it. Il pranzo è offerto da Casa delle Agriculture, progetto che da anni rigenera terre confiscate alla mafia e accoglie migranti. Non un dettaglio, ma il simbolo di un approccio che lega giustizia sociale, ambientale e informazione.

La posta in gioco? Ricordare che il giornalismo, nella sua essenza, dovrebbe essere un servizio pubblico. Non un megafono del potere, ma una lente per vedere oltre la nebbia della propaganda.

Per chi ancora crede che un’informazione diversa sia possibile, Castiglione d’Otranto sarà, per tre giorni, una piccola capitale della speranza.


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