Un Ente pubblico per salvare e rigenerare il paesaggio rurale

Autore: Antonio Bruno

Istituzione: Associazione dei Laureati in Scienze Agrarie e Scienze Forestali della Provincia di Lecce

L’agricoltura italiana è stretta tra due fuochi. Da un lato, la Politica agricola comune che da decenni distribuisce sussidi a pioggia, alimentando più le rendite che l’innovazione. Dall’altro, l’abbandono silenzioso delle campagne, con centinaia di migliaia di ettari lasciati incolti, divorati dall’urbanizzazione o dal degrado. In mezzo, una sfida epocale: il cambiamento climatico, che rende sempre più difficile produrre cibo e al tempo stesso proteggere l’ambiente.

Ecco perché l’idea di un Ente pubblico che gestisca il paesaggio rurale non è una bizzarria, ma una provocazione utile. Immaginiamo che un agricoltore, stanco o impossibilitato a coltivare, possa conferire volontariamente il proprio terreno a un organismo regionale o nazionale. L’Ente lo amministra, lo coltiva — direttamente o tramite contratti a lungo termine con imprese e cooperative — e ogni anno retrocede al proprietario una quota dei profitti. In cambio, il suolo è preservato, il paesaggio tutelato, i servizi ecosistemici garantiti.

Non è un’invenzione visionaria. Nel Regno Unito, il National Trust gestisce migliaia di ettari di campagne e li affida a coltivatori con vincoli stringenti di sostenibilità. Nei Paesi Bassi, lo Staatsbosbeheer amministra vaste aree pubbliche con criteri ambientali. Negli Stati Uniti, i Community Land Trust hanno consentito a intere comunità di preservare terra agricola e renderla accessibile a nuovi produttori. Modelli diversi, ma una filosofia comune: la terra non è solo merce, è bene pubblico.

Certo, i rischi ci sono. In Italia la burocrazia può trasformare in pantano anche le idee migliori. La distribuzione degli utili ai proprietari rischia di essere diseguale e contestata. E la gestione centralizzata può finire catturata da lobby o clientele. Ma il punto politico è un altro: il nostro Paese deve decidere se continuare a lasciare che i campi si svuotino o se provare a reinventare un modello di gestione collettiva, in cui l’interesse privato e quello pubblico trovino un equilibrio.

Il paesaggio rurale italiano non è solo la cartolina che attira turisti da tutto il mondo. È un pezzo della nostra identità, un fattore di competitività, un presidio contro il dissesto idrogeologico e il degrado ambientale. Affidarlo a un Ente pubblico, con regole chiare, controlli trasparenti e partecipazione delle comunità locali, può sembrare un’utopia. Ma a ben vedere è una necessità. Perché senza una cura condivisa della terra, resteremo prigionieri della solita alternativa: o rendita sterile, o abbandono irreversibile.

 

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