Specchia Gallone, tra memorie patrizie e pietra leccese
di Antonio Bruno
Nel cuore della Terra d’Otranto, non lontano dai borghi celebri del Salento, si cela Specchia Gallone, una piccola frazione del comune di Minervino di Lecce. A differenza della più nota Specchia, questo centro conserva un nome che ne svela le origini baronali: "Gallone", dal cognome dell’antica famiglia feudataria che dominò il territorio nel XVII secolo. La toponomastica racconta la storia, e Specchia — termine che in latino medievale indicava un’altura o un cumulo di pietre usato come punto di vedetta — non fa eccezione. Due località con questo nome sopravvivono ancora oggi, e quella di Gallone deve la sua denominazione ai principi omonimi, imprenditori ante litteram, che investirono in feudi e patrimoni rurali e urbani.
Nel centro storico della frazione, la presenza della nobile casata si percepisce con chiarezza, a partire dal portale della parrocchiale di San Biagio, dove campeggia lo stemma araldico dei Gallone: un gallo, simbolo tanto di Tricase quanto di questo minuscolo centro. Nella pietra scolpita, nella geometria del barocco leccese e nel silenzio di cortili e dimore signorili, si respira ancora l’eco di una nobiltà che seppe legare il proprio destino a quello del territorio.
Tra le famiglie che hanno segnato la storia recente di Specchia Gallone vi è quella dei Baroni Basalù, approdata in Puglia nei primi anni dell’Ottocento. Le origini, complesse e affascinanti, affondano nel Mediterraneo più profondo: da Candia, nell’isola di Creta, dove la Repubblica di Venezia aveva una delle sue più importanti colonie, alla Serenissima, fino alla nomina consolare in Terra d’Otranto. Una diaspora aristocratica che ebbe inizio con il declino del dominio veneziano in Levante e che vide molte famiglie stabilirsi nel Meridione, trovando nei feudi italiani nuove radici.
La casa dei Basalù a Specchia Gallone è un microcosmo che racconta due secoli di storia familiare e sociale: dalla sala degli affreschi monocromatici agli oggetti del vivere quotidiano, come la Fiat Balilla del 1935, restaurata e ancora funzionante, alle attrezzature per la sella e le carrozze d’epoca. La passione per i cavalli del capofamiglia e quella per le auto del discendente odierno si specchiano l’una nell’altra, in una continuità affettiva e simbolica che ricorda quanto la memoria non sia soltanto nei documenti scritti, ma nei gesti, negli oggetti e nei silenzi delle case antiche.
All’interno della dimora, spicca una cucina seicentesca con un grande camino ancora funzionante e suppellettili d’epoca: un ferro da stiro ottocentesco, una sveglia a carica manuale, un lume a petrolio. Non si tratta di un museo, ma di uno spazio vissuto, conservato con cura, in cui ogni pietra leccese racconta un pezzo di passato. Sul pavimento, i grossi mattoni originali, una volta decorati di celeste e blu, sono stati restaurati per ridare luce alla materia.
E poi la terrazza, che si apre su un giardino rigoglioso. Tra le piante centenarie, spicca una jacaranda — pianta sudamericana dalle fioriture violacee — e un nespolo, quasi a testimoniare il gusto esotico e cosmopolita delle famiglie nobiliari del Sud, aperte al mondo ma profondamente legate alla terra.
Specchia Gallone è oggi un luogo sospeso tra il tempo e la memoria. Le sue dimore nobiliari non sono solo testimonianza di un passato aristocratico, ma veri e propri archivi viventi della storia meridionale. Raccontano di feudi e di migrazioni, di Venezia e dell’Egeo, di cavalli e automobili, di affreschi e cucine di pietra. Un Sud minore solo per dimensione, ma grande per densità storica e per bellezza.
Bibliografia
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