"Quelle patate con la terra del Salento"

Ci sono storie che sembrano venire da un film di Totò, ma che invece sono cronaca. Storie di patate importate dalla Francia, lavate, e poi sporcate di nuovo. Ma non di una qualunque terra: della terra del Salento. Perché quella zolla rossa, quella polvere antica, fa vendere. Fa sembrare il prodotto genuino, di casa nostra.
E invece è una truffa.

Non è solo questione di patate. Dietro c’è molto di più. C’è il tentativo costante della criminalità di mettere le mani su tutto ciò che produce valore: la terra, l’olio, i rifiuti. Lo si è detto chiaramente a Lecce, in un convegno promosso dalla Camera di Commercio e dalla Fondazione Osservatorio Agromafie. Un incontro di quelli che andrebbero fatti più spesso e ascoltati meglio.

Abbiamo ascoltato parole giuste. Quelle del procuratore Capoccia, che invita a parlare di “malavita” invece che di “mafia”, perché la mafia sembra lontana, la malavita invece è tra noi, vive nei nostri stessi paesi. E agisce. Controlla il mercato degli oli esausti, obbliga i ristoratori a conferire solo a “quelli lì”, e lo fa in silenzio, ma con la forza. Quella forza subdola che spegne la libertà d’impresa e piega le regole.

Il procuratore generale Vaccaro ha toccato un punto delicato: l’etichetta. Quel piccolo rettangolo di carta che dovrebbe raccontarci la verità, spesso è un romanzo di menzogne. Olio che non ha visto neanche l’ombra di un’oliva, prodotti che sembrano italiani e non lo sono. Serve chiarezza, serve verità. Il consumatore ha diritto di sapere.

E poi – permettetemi – basta con l’idea del mafioso con la coppola e la lupara. Oggi il malavitoso indossa il doppiopetto, parla di finanza, conosce le dinamiche del mercato globale. È un imprenditore dell’illegalità, e ci entra dalla porta principale. Sfrutta le fragilità del sistema agricolo, i ritardi burocratici, le difficoltà climatiche. Si insinua dove lo Stato arretra.

Ma c’è una buona notizia. Le imprese agricole del Salento, nonostante tutto, resistono. Non sono molte ma ancora ce ne sono più di novemila. E stanno cambiando pelle, diventano più grandi, più solide. Serve però una politica coraggiosa, che non lasci soli questi imprenditori. Lo ha detto bene Costantino Carparelli di Coldiretti: occorre uno scatto di orgoglio. Non possiamo abituarci all’idea che il cibo sano sia un lusso.

Io credo che parlare di queste cose sia già un atto importante. E credo che l’antimafia vera, quella sociale, quella quotidiana, cominci proprio qui: da chi denuncia le patate sporche di terra falsa, da chi non accetta compromessi, da chi vuole difendere – con la schiena dritta – la dignità del lavoro onesto.

Perché la legalità, se non la si coltiva ogni giorno, è come un campo abbandonato: alla fine, cresce l’erba cattiva.

“Il futuro dell’agricoltura passa dalla responsabilità collettiva”


In un momento così delicato per l’agricoltura italiana, e in particolare per il nostro Sud, parlare di gestione del paesaggio agrario significa parlare della nostra stessa identità. Non è solo questione di numeri, di fondi, di irrigazione o di lotta a una malattia come la Xylella. È questione di radici, di memoria, di futuro.

La Puglia e il Salento stanno attraversando una crisi profonda, causata da un intreccio di cause: tagli ai fondi europei, guerre commerciali internazionali, cambiamenti climatici e soprattutto un sistema che troppo spesso lascia indietro chi lavora la terra, che fatica a trovare dignità e sostegno. È un “momento complicato”, come ha detto Paolo De Castro, e non possiamo limitarci a parole di circostanza.

Serve un cambiamento vero, una svolta che coinvolga tutti. Ecco perché l’idea di affidare la gestione del paesaggio agrario a un ente pubblico specializzato non è solo un’ipotesi tecnica, ma un vero atto di responsabilità. Un ente che raccolga i contributi dei cittadini e li trasformi in progetti concreti, trasparenti, efficaci. Un ente che protegga la legalità, che faccia da scudo contro le infiltrazioni malavitose e che dia voce agli agricoltori, ai giovani, a chi vuole investire nel futuro.

Non è un compito facile. Bisogna abbattere la burocrazia, snellire procedure, garantire che ogni euro speso porti un reale beneficio al territorio e alle persone. Ma se riusciremo a farlo, avremo salvato non solo un settore economico, ma un patrimonio ambientale e culturale unico. Avremo ridato speranza a quei giovani che sognano di continuare a lavorare la terra, rispettandola e innovandola.

Il rischio, altrimenti, è che la nostra Puglia diventi un territorio fragile, esposto alla desertificazione non solo ambientale, ma sociale ed economica. Non possiamo permettercelo. La strada è tracciata: trasparenza, partecipazione, legalità, formazione e investimenti mirati. E soprattutto, il coraggio di prendere in mano il nostro destino con un progetto che unisca istituzioni, cittadini e imprese.

Non rimaniamo spettatori di questo cambiamento. Siamo chiamati a essere protagonisti. Perché il futuro dell’agricoltura italiana, e del nostro Paese, passa da qui.




Antonio Bruno


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