“Quel mare che ci parla del futuro”
di Antonio Bruno
C’è una frase che mi è rimasta impressa: “I tempi della politica, della percezione e del dibattito pubblico non corrispondono quasi mai con quelli della scienza”.
È vero. La politica corre dietro alle emergenze come un vigile a un incrocio caotico, ma il clima non aspetta. E così, nell’estate del 2023, mentre noi guardavamo altrove, il mare ha dato un segnale epocale: si è scaldato come mai prima.
Parliamo di oceani che sono il frigorifero del pianeta, capaci di assorbire il 90% del calore in eccesso. Ebbene, quel frigorifero si è rotto. Il Mediterraneo, per esempio, era 5 gradi sopra la media: come se la nostra vasca da bagno si trasformasse, all’improvviso, in una sauna. Un fatto che non riguarda solo i pesci o i coralli che sbiancano: riguarda noi, il nostro cibo, il nostro lavoro, la nostra sicurezza.
Gli scienziati, con calma e dati alla mano, ci dicono che il 2023 non è stato solo un’estate calda, ma una nuova normalità per gli oceani. Una normalità che mette in crisi i modelli climatici con cui prevediamo il futuro. E se non capiamo gli oceani, non capiamo neppure uragani, alluvioni e tutti quegli estremi che già oggi ci mettono in difficoltà.
È vero, le ondate di calore marine ci sembrano lontane, un problema per qualche biologo marino o per le tartarughe. Ma non è così: parliamo di miliardi persi nella pesca, nel turismo, nella sicurezza alimentare. Parliamo di un mare che si sta trasformando sotto i nostri occhi, ma che noi continuiamo a guardare come se nulla fosse.
Mi chiedo: vogliamo continuare a rincorrere il problema dopo, quando diventa emergenza, o vogliamo cominciare ad affrontarlo adesso? Perché il mare, con il suo silenzio, un segnale ce l’ha già dato. E non sarà l’ultimo.