Quando il progresso diventa maschera e tradisce la civiltà

di Antonio Bruno

Viviamo in un tempo in cui la sopravvivenza sembra legata a una recita crudele: o ti mostri spietato, o ti gonfi di narcisismo, o ti convincono che sarai inghiottito. E così abbiamo trasformato parole come “leadership” e “successo” in medaglie appese al petto di chi accumula potere, ricchezza, supremazia. Li chiamiamo vincenti, li celebriamo come modelli, ma ci dimentichiamo che la vera civiltà non si misura in quante vette hai conquistato sugli altri, bensì in quanto sei disposto a camminare insieme, a sollevare chi resta indietro, a non calpestare la terra sotto i piedi.

Abbiamo accettato una narrazione che ci racconta che solo la durezza salva, che la brutalità sia una medicina amara ma necessaria. Eppure la storia, con la sua memoria ostinata, ci sussurra che i popoli più resilienti non si sono nutriti di violenza, ma di cooperazione, di fiducia, di mani intrecciate. Non è il pugno chiuso che protegge, è il cuore aperto. Eppure oggi applaudiamo leader che governano con la paura, dimenticando che la paura costruisce muri fragili, mentre la saggezza costruisce radici.

Una civiltà che si chiama tale non può ridurre la vita a merce, non può devastare il pianeta e sacrificare specie intere per un grafico economico in salita. Non basta vestire il mondo di tecnologie sofisticate se, sotto, resta un’anima arida. La civiltà vera non è quella che inventa macchine più intelligenti, ma quella che coltiva esseri umani più consapevoli. Quando la tecnica cresce più in fretta della coscienza, non ci troviamo davanti a progresso: ci troviamo davanti a una raffinata inciviltà tecnologica.

E allora sì, dobbiamo ammetterlo: c’è poco di “civile” nel nostro modo di vivere. C’è distruzione mascherata da sviluppo, c’è ego travestito da ambizione, c’è profitto che recita la parte del progresso. La nostra civiltà, così come l’abbiamo costruita, è una maschera elegante che nasconde un vuoto feroce. Senza un risveglio di umanità, la tecnologia sarà soltanto un amplificatore del nostro smarrimento. E continueremo a chiamare civiltà ciò che, in realtà, è un lento suicidio travestito da futuro.

 

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