Piazza Partigiani, la memoria che prende forma

di Davide Tommasi

Piazza Partigiani come atto pubblico di coscienza: la Resistenza, i giovani e il futuro della democrazia

Ci sono luoghi che nascono da una necessità urbanistica e luoghi che nascono da una necessità morale. Piazza Partigiani, inaugurata a Calimera, appartiene senza esitazione alla seconda categoria. Non è soltanto una nuova denominazione nello spazio cittadino: è una presa di posizione, una dichiarazione pubblica di valori, un atto di fedeltà alla storia democratica del Paese.

In una giornata densa di significati, nel cuore dell’inverno e simbolicamente vicina al Natale, Calimera ha scelto di fermarsi, di raccogliersi, di ricordare. E lo ha fatto con una cerimonia che ha unito istituzioni e cittadini, giovani e anziani, memoria storica e futuro possibile. Una comunità intera che si è riconosciuta attorno a un nome, a una parola che non smette di interrogare: Partigiani.



Una piazza che nasce dalla coscienza civica

Il progetto di intitolazione di Piazza Partigiani nasce dalla determinazione di un comitato spontaneo di cittadini, espressione genuina di una società civile che non si rassegna all’oblio e alla superficialità del tempo presente. Un percorso costruito con pazienza, dialogo e convinzione, che ha trovato ascolto e concretezza nell’azione dell’Amministrazione comunale.

Con la Delibera di Giunta n. 33 del 9 aprile 2025, assunta nell’anno dell’ottantesimo anniversario della Liberazione, l’Amministrazione ha dato forma istituzionale a una richiesta che non era solo simbolica, ma profondamente politica nel senso più alto: riaffermare i valori fondanti della Repubblica proprio attraverso i luoghi della vita quotidiana.

Raffaele Romano: dare nome alla gratitudine

Nel suo intervento, Raffaele Romano, coordinatore del comitato promotore, ha dato voce a un sentimento che attraversava l’intera piazza: una gratitudine composta, profonda, mai gridata, ma radicata nella coscienza collettiva. Le sue parole non sono state un semplice discorso di apertura, bensì un atto di riconoscimento verso chi, anche partendo da piccoli centri come Calimera, seppe compiere una scelta enorme in uno dei momenti più drammatici della storia nazionale.

Romano ha ricordato i Partigiani calimeresi e dell’intera provincia, uomini e donne comuni, spesso giovani, spesso costretti a decidere in fretta se accettare la paura o sfidarla. Persone che non agirono per gloria o per tornaconto, ma spinte da un senso profondo di giustizia, di dignità umana e di responsabilità verso gli altri. Figure che non cercarono medaglie né riconoscimenti, ma che hanno lasciato un’eredità morale incancellabile: la possibilità, per le generazioni successive, di vivere in un Paese libero.

Nel suo discorso è emersa con chiarezza l’idea che la memoria non possa essere selettiva, né parziale, perché una memoria incompleta rischia di trasformarsi in dimenticanza. Romano ha sottolineato come il ricordo della Resistenza debba essere restituito nella sua interezza, senza omissioni, senza semplificazioni, senza silenzi colpevoli. Da qui il suo appello, pronunciato con fermezza ma senza polemica, a sanare una mancanza evidente nella toponomastica calimerese: l’assenza di intitolazioni dedicate a una donna.

Un richiamo forte, attuale, carico di significato civile. Romano ha ricordato come le donne abbiano avuto un ruolo fondamentale nella Resistenza, non solo come staffette o sostenitrici, ma come protagoniste attive della lotta, spesso pagando un prezzo altissimo in termini di persecuzioni, violenze e sacrifici personali. Eppure, troppo spesso, il loro contributo è rimasto ai margini del racconto ufficiale, relegato a una memoria privata e silenziosa.

Il suo intervento ha così ampliato il significato stesso di Piazza Partigiani, trasformandola non solo in un luogo di commemorazione, ma in uno spazio di riflessione critica e di giustizia storica. Intitolare, ha lasciato intendere Romano, non significa soltanto ricordare: significa scegliere chi rendere visibile, chi consegnare alla memoria pubblica, chi indicare come esempio alle nuove generazioni.

Con parole misurate ma cariche di intensità, Romano ha infine richiamato il valore della partecipazione civica, ricordando come questa piazza sia il frutto di un percorso condiviso tra cittadini e istituzioni. Un percorso che dimostra come la memoria, quando è viva e sentita, possa diventare azione concreta, capace di incidere nello spazio pubblico e nel tempo presente.

Il suo intervento ha lasciato nella piazza un silenzio attento, quasi raccolto. Un silenzio che non era vuoto, ma pieno di consapevolezza: la consapevolezza che dare nome alla gratitudine significa assumersi la responsabilità di non dimenticare, oggi e domani.

Alberto Maritati: la Resistenza come scelta morale universale

Il momento di maggiore densità storica, culturale e civile della cerimonia è giunto con l’intervento del dott. Alberto Maritati, presidente provinciale dell’ANPI, la cui riflessione ha attraversato la piazza come un richiamo alla coscienza collettiva. Le sue parole hanno restituito peso, profondità e verità a una parola oggi spesso abusata, talvolta svuotata o piegata a polemiche contingenti: partigiano.

Maritati ha ricondotto quel termine al suo significato originario e autentico, sottraendolo alla retorica e alle semplificazioni. Essere partigiani – ha ricordato – non fu mai una scelta comoda né opportunistica, ma un atto di libertà consapevole compiuto in un tempo in cui scegliere voleva dire rischiare tutto: la vita, la famiglia, il futuro. Fu una decisione maturata nella solitudine delle coscienze, ma capace di diventare azione collettiva, dando forma a un movimento che avrebbe cambiato per sempre il destino dell’Italia.

Nel suo discorso è emersa con forza l’idea della Resistenza come fondamento morale della Repubblica, non come episodio marginale della storia nazionale. Una scelta che vive ancora oggi nella Costituzione, nelle sue parole e nei suoi principi, e che continua a interrogare il presente. Maritati ha sottolineato come la Resistenza non appartenga a una parte politica, ma rappresenti una radice comune, un patrimonio condiviso che unisce il Paese al di là delle differenze.

Con tono pacato ma incisivo, il presidente dell’ANPI ha restituito alla Resistenza il suo volto umano, lontano da ogni mitizzazione astratta. Ha parlato di giovani, operai, contadini, studenti, donne, persone comuni che seppero diventare straordinarie nel momento in cui decisero di non voltarsi dall’altra parte. Uomini e donne spesso privi di mezzi, ma ricchi di una forza morale che ha permesso loro di opporsi alla violenza, alla dittatura, alla negazione dei diritti.

Particolarmente significativo il passaggio in cui Maritati ha affrontato il tema del linguaggio pubblico e del confronto democratico. In un tempo in cui il termine partigiano viene talvolta utilizzato in senso dispreggiativo, egli ha ribadito che la democrazia non solo non teme il dissenso, ma ne ha bisogno per restare viva. Chi contesta – ha affermato – non va escluso né delegittimato, ma invitato a partecipare, a parlare, a confrontarsi apertamente, nel rispetto della storia e dei valori che hanno fondato la Repubblica.

Il suo intervento ha assunto così il valore di un ponte tra passato e presente, tra memoria e attualità. Un richiamo forte alla responsabilità di tutti, istituzioni e cittadini, a non ridurre la Resistenza a una celebrazione rituale, ma a riconoscerla come una scelta morale universale, sempre attuale, che chiama ogni generazione a interrogarsi su da che parte stare.

Le parole di Maritati hanno lasciato nella piazza un senso di raccoglimento e consapevolezza, ricordando che la libertà non è mai un dato acquisito, ma una conquista che si rinnova ogni giorno, nel dialogo, nella partecipazione e nella difesa dei valori democratici.

Leo Palumbo: contro l’oblio, il dovere della memoria attiva

Con l’intervento dell’avvocato Leo Palumbo cons. com delega alla cultura e res. consiglio comunale , la riflessione collettiva si è spostata sul tema più silenzioso e forse più insidioso di tutti: il tempo. Palumbo ha richiamato l’attenzione su come il trascorrere degli anni rischi, lentamente ma inesorabilmente, di allontanare la storia dalla vita delle persone, trasformandola in un racconto astratto, privo di volti, di emozioni, di dolore. Una storia che, se non custodita, rischia di perdere la sua carne e il suo sangue.

Nel suo discorso, Palumbo ha sottolineato come Piazza Partigiani nasca proprio per contrastare questo processo di dissolvenza della memoria. Non come un luogo di celebrazione occasionale, ma come uno spazio permanente, quotidiano, capace di riportare la storia dentro il presente. Una piazza che obbliga a fermarsi, anche solo per un istante, e a ricordare che ciò che oggi appare normale – la libertà di parola, di pensiero, di partecipazione – è il frutto di sacrifici estremi.

La memoria, ha affermato con chiarezza, non è un esercizio commemorativo, né un rito da consumare nelle ricorrenze ufficiali. È un dovere civile, una responsabilità che riguarda ciascuno. Ricordare chi ha combattuto per la patria significa interrogare il presente, misurare le libertà quotidiane con il prezzo pagato da chi non ha potuto goderne. Significa chiedersi se siamo all’altezza di quell’eredità.

Palumbo ha insistito sul valore della memoria come atto attivo, mai neutro. Ricordare non equivale a guardare indietro con nostalgia, ma a guardare avanti con consapevolezza. In questo senso, Piazza Partigiani diventa un vero e proprio presidio contro l’indifferenza, contro l’assuefazione ai diritti, contro la tentazione di considerare la democrazia come qualcosa di scontato.

Il suo intervento ha richiamato anche la dimensione giuridica e morale della Resistenza, ricordando come lo Stato di diritto, la legalità e la tutela delle libertà personali affondino le proprie radici proprio in quelle scelte compiute in tempi drammatici. Senza la Resistenza, ha lasciato intendere Palumbo, non vi sarebbe stato lo spazio per una Repubblica fondata sulla dignità della persona.

Le sue parole hanno avuto il tono di un monito, ma anche di un invito: non lasciare che il tempo cancelli il senso profondo della storia. Fare della memoria un gesto quotidiano, un impegno silenzioso ma costante. Perché solo una memoria viva, condivisa e attiva può continuare a proteggere la libertà conquistata.

Gigi Mattei: la memoria che passa di mano

L’intervento del Sindaco dei Ragazzi, Gigi Mattei, ha rappresentato uno dei momenti più intensi e toccanti dell’intera cerimonia, quello in cui la memoria ha cambiato voce senza perdere forza. La sua presenza, carica di significato simbolico, ha reso visibile ciò che spesso resta implicito: la storia non sopravvive se non viene consegnata a chi verrà dopo.

La voce di Mattei, giovane ma sorprendentemente ferma, attraversata dall’emozione ma mai incerta, ha dato corpo al senso più profondo della giornata: il passaggio di testimone tra generazioni. In quel momento, la piazza non era soltanto uno spazio di commemorazione, ma un luogo di continuità, dove il passato si è affidato al futuro.

Con parole semplici, prive di enfasi retorica ma cariche di autenticità, Mattei ha ricordato come siano proprio i ragazzi a dover custodire la memoria della Resistenza. Non come un fardello, non come un dovere imposto, ma come una responsabilità consapevole, da portare con orgoglio. Ricordare, ha lasciato intendere, significa comprendere, interrogarsi, scegliere ogni giorno da che parte stare.

Nel suo intervento, la storia della Resistenza è apparsa non solo come un racconto di guerra e di sacrificio, ma come una storia di amore profondo per l’Italia e per la libertà. Un amore che ha spinto uomini e donne, spesso giovanissimi, a rinunciare alla sicurezza personale per consegnare un futuro migliore a chi sarebbe venuto dopo. Un messaggio che ha trovato ascolto e commozione tra i presenti, perché pronunciato da chi quel futuro lo rappresenta.

Le parole del Sindaco dei Ragazzi hanno avuto il valore di un impegno pubblico: ricordare non per ripetere il passato, ma per custodirne il senso. In quel discorso si è concentrata l’idea che la democrazia non sia un’eredità automatica, ma una conquista che deve essere continuamente rinnovata attraverso la partecipazione, il rispetto e la conoscenza della storia.

La piazza ha accolto il suo intervento con un silenzio attento, quasi sospeso, seguito da un’emozione condivisa. In quel momento, è apparso chiaro che il futuro della democrazia passa inevitabilmente dalle nuove generazioni, dalla loro capacità di comprendere ciò che è stato e di trasformarlo in responsabilità civile. Piazza Partigiani, affidata simbolicamente ai giovani, ha trovato in Gigi Mattei la sua voce più autentica.

Il Sindaco Tommasi: una scelta che impegna il futuro

A chiudere gli interventi istituzionali è stato il Sindaco di Calimera, ing. Gianluca Tommasi, con parole che hanno dato senso e prospettiva all’intera cerimonia. Il suo discorso ha collocato l’inaugurazione di Piazza Partigiani dentro una visione più ampia di comunità, di responsabilità pubblica e di governo consapevole del proprio ruolo storico.

Intitolare una piazza – ha affermato il Sindaco – non è un gesto formale né un atto simbolico fine a se stesso. È una scelta che impegna, che chiama in causa ogni giorno l’Amministrazione e i cittadini a rendere vivi i valori che quel nome custodisce. Una piazza non è solo uno spazio urbano: è un luogo attraversato, vissuto, abitato, ed è proprio lì che la memoria deve continuare a parlare.

Nel suo intervento, Tommasi ha sottolineato come Calimera, con questa inaugurazione, scelga consapevolmente di non voltarsi dall’altra parte, di non relegare la Resistenza e la Liberazione a un capitolo chiuso della storia. Al contrario, la memoria viene assunta come bussola per il presente, come riferimento etico e civile capace di orientare le scelte quotidiane, personali e collettive.

Il Sindaco ha ricordato che la democrazia non è un bene acquisito una volta per tutte. Nasce dal sacrificio di chi ha resistito all’oppressione, ma si mantiene viva solo attraverso la partecipazione consapevole, il dialogo, il rispetto delle istituzioni e il senso di comunità. In questo senso, Piazza Partigiani diventa un luogo che interroga il presente: chiede coerenza, responsabilità, impegno.

Tommasi ha inoltre richiamato il valore del lavoro condiviso che ha portato a questo risultato, riconoscendo il ruolo fondamentale del comitato spontaneo di cittadini e il significato di una scelta amministrativa maturata in un contesto di ascolto e confronto. Un esempio concreto di come le istituzioni possano e debbano camminare insieme alla comunità.

Le sue parole hanno avuto il tono della sintesi e del rilancio: memoria come fondamento, partecipazione come metodo, futuro come responsabilità comune. In quel momento è apparso chiaro che Piazza Partigiani non rappresenta solo ciò che è stato, ma ciò che Calimera sceglie di essere.

Con l’intervento del Sindaco, la cerimonia si è chiusa non con un punto fermo, ma con un impegno aperto, affidato a tutta la comunità: custodire la libertà conquistata, trasformare la memoria in azione, rendere la democrazia un esercizio quotidiano.

Il battito della memoria: Calimera e il nuovo altare della libertà

Non è stata soltanto la geometria di uno spazio urbano a cambiare volto, ma l’anima stessa di una comunità che ha scelto di scolpire nel marmo e nel selciato la propria bussola morale. Quando le note della banda cittadina hanno iniziato a solcare l’aria, riverberando tra le architetture della piazza, il tempo è parso contrarsi in un istante di densa, vibrante solennità. Sulle ali di "Bella Ciao" e nelle strofe solenni dell’Inno di Mameli, la musica si è spogliata della sua veste puramente celebrativa per farsi liturgia civile, linguaggio universale capace di annullare le distanze anagrafiche.

In quel momento, il silenzio della folla non era assenza di suono, ma una forma superiore di ascolto. Negli sguardi lucidi degli anziani e negli occhi attenti dei ragazzi si è compiuto quel miracolo laico del passaggio del testimone: un sentimento di appartenenza che trascende il presente per farsi eredità condivisa.

Un presidio di identità democratica

La lettura del testo ufficiale di intitolazione ha agito come una dichiarazione d’intenti. Piazza Partigiani non nasce per essere un algido monumento al passato, bensì un "organismo vivo": uno spazio destinato a essere attraversato dal passo quotidiano dei cittadini, abitato dalle voci dei bambini, vissuto come l'agorà della coscienza critica. È un luogo che impone una sosta non solo fisica, ma intellettuale; non chiede la semplice cortesia del ricordo, ma il rigore della comprensione.

Una scelta di campo per il futuro

Inaugurando questo spazio, la comunità di Calimera non si è limitata a consegnare alla cittadinanza un’opera pubblica. Ha compiuto un atto politico nel senso più nobile e greco del termine: ha scelto una postura nel mondo. In un’epoca di amnesie collettive e relativismi, Calimera ha deciso nitidamente da che parte stare.

Stare dalla parte della libertà significa qui riconoscere che ogni pietra di questa piazza è intrisa dei sacrifici di chi ci ha preceduto; stare dalla parte della dignità umana significa trasformare la memoria in una luce vivida, capace di squarciare le ombre del futuro e di guidare le nuove generazioni verso un orizzonte di democrazia consapevole e inalienabile.



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