Il Natale non è una festa religiosa
di Antonio Bruno
Non abbiamo una tradizione di concerti di Natale. Non l’abbiamo mai avuta.
È un’invenzione americana, come molte delle cose che oggi fingiamo di disprezzare mentre segretamente desideriamo. Da noi il Natale è stato sequestrato: dalle novene, dai presepi, dall’incenso. Un accumulo di riti che ha finito per soffocare proprio ciò che il Natale dovrebbe essere: lo stupore.
Perché il Natale non è religioso. O meglio: non lo è più da molto tempo.
Il suo sacro non abita nei rosari, ma nell’improvvisa esplosione di luci, nei colori violenti – il rosso, il bianco, perfino il blu elettrico – nei dolci esposti come promesse infantili. Il Natale accade quando le case si accendono, quando i balconi diventano scene teatrali, quando una comunità si riconosce non nella preghiera, ma nello sguardo condiviso.
Da qualche anno questo lo hanno capito perfino i negozi cinesi, che con una precisione inconsapevole hanno restituito ai paesi italiani ciò che la tradizione aveva tolto: la magia visibile. Led, giochi di luce, figure improbabili. Nulla di sacro, eppure tutto profondamente umano. Questo è il Natale: non l’attesa di una redenzione, ma la celebrazione dell’essere insieme.
L’America, invece, ha saputo trasformare tutto questo in canto.
Le canzoni natalizie americane non parlano di Dio: parlano di nostalgia, di neve, di case lontane, di famiglie ricomposte per poche ore. White Christmas, scritta da Irving Berlin nel 1940, è la più grande confessione laica del Novecento. Un uomo immigrato, durante la guerra, che sogna un Natale bianco mentre il mondo brucia. Non c’è teologia, c’è desiderio. Ed è per questo che quella canzone è diventata la più venduta di sempre.
Gesù bambino, in tutto questo, non compare.
E non è un’assenza scandalosa: è una verità. Il Natale che sopravvive è quello che non chiede fede, ma partecipazione.
Per questo, in paesi e paeselli dove si gareggia per l’albero più luminoso e la strada meglio addobbata, sarebbe naturale introdurre il Concerto di Natale nelle piazze. Non come rito, ma come gesto civile. Un canto collettivo che restituisca alla comunità ciò che la religione ha irrigidito.
Io quest’anno l’ho visto accadere a Cavallino.
Il Natale era lì: nelle luci, nei dolci, nei colori, nelle canzoni.
E quando ho cantato White Christmas, gli applausi non erano per me. Erano per un’idea di Natale finalmente liberata.