Ortindoor, da Ivrea a Lecce: l’agricoltura del futuro
In una delle tante periferie d’Italia che cercano di rinascere, là dove una volta si producevano calcolatrici e idee rivoluzionarie, oggi si coltivano insalate. Ma non insalate qualsiasi: piante sospese in aria, nutrite da nebbie sottili e luce artificiale. È questo Ortindoor, una serra urbana nata nel cuore industriale di Ivrea, dentro quello che fu il mondo di Adriano Olivetti. Un luogo che torna a produrre, ma questa volta alimenti e visione.
Ortindoor è il sogno concreto di due sorelle, Barbara e Luisa Gallo. In un capannone di 200 metri quadrati, trasformato con cura e competenza, cresce un’idea che ha poco a che vedere con l’agricoltura che conoscevano i nostri nonni. Qui non ci sono zappe né trattori. Ci sono sensori, luci LED, pompe di pressione e un software che controlla tutto. Ma non è solo una questione di tecnologia: è una dichiarazione di futuro.
In questa serra verticale, alimentata da un sistema aeroponico con il know-how torinese di Agricooltur®, si coltivano fino a 110.000 piante all’anno con un risparmio del 98% di acqua rispetto all’agricoltura tradizionale. Sette litri d’acqua per un chilo di insalata, invece di trecento. Senza suolo, senza pesticidi, senza trasporto. Semplicemente: qui, vicino, adesso.
Ma è da Lecce, nel profondo Sud, che questo modello potrebbe davvero prendere il volo. Perché la città salentina rappresenta una sfida e un’opportunità: una realtà dove la tradizione agricola convive con un bisogno crescente di innovazione, sostenibilità e rilancio economico. Ortindoor, infatti, ha elaborato un programma di coltivazione ottimizzato proprio per il clima di Lecce, dimostrando che l’agricoltura indoor non è un’idea astratta o riservata al Nord, ma una risposta concreta per tutto il Paese.
Lecce, con la sua vocazione turistica, la domanda di prodotti freschi e la necessità di preservare il territorio, potrebbe diventare un laboratorio vivente dove Ortindoor non solo produce cibo, ma anche futuro. Qui, la serra si trasforma in un motore di economia circolare: creare lavoro qualificato, offrire prodotti sani a chilometro zero, ridurre l’impatto ambientale, e rigenerare spazi urbani abbandonati.
Il confronto con l’agricoltura classica è impietoso: meno suolo, meno acqua, niente pesticidi, niente stagioni. Ma c’è un altro dato che colpisce: Ortindoor è anche un modello economico che sta in piedi. I numeri parlano chiaro. A Lecce, un impianto analogo produce più di 100.000 piante l’anno, con un utile netto previsto di oltre 35.000 euro. È poco? No, è sostenibile. Ed è scalabile. Un modello replicabile ovunque ci sia un capannone abbandonato, un po’ di energia e molto coraggio.
Dietro c’è anche un’idea di comunità: abbonamenti per famiglie, mercati contadini, ristoranti locali, prodotti “a metro zero”. Una nuova economia che riscopre il valore della vicinanza, in un mondo sempre più distante. Che riscopre il gusto della fiducia, in un tempo pieno di sfiducia.
L’Italia ha bisogno di storie come questa. Ha bisogno di pionieri, ma anche di radici. Ortindoor le ha entrambe. Come dicevano gli Olivetti: “Non si può fabbricare bene se non si vive bene”. Oggi, forse, potremmo dire: non si può coltivare bene, se non si immagina meglio. E il meglio parte da Ivrea, ma può sbocciare nelle città come Lecce, pronte a reinventarsi senza tradire la propria terra.
— Antonio Bruno
Per approfondire: https://centrostudiagronomi.blogspot.com/2025/06/ortindoor-il-futuro-dellagricoltura.html