"Il riscatto del Sud passa anche da una pala"

di Antonio Bruno dottore agronomo

C’è qualcosa di profondamente italiano nella capacità di ricominciare. Di guardare un campo distrutto – magari da un batterio invisibile come la Xylella – e decidere che no, non finisce qui.

Nel Salento, dove fino a ieri c’erano distese d’ulivi secolari, oggi crescono silenziose nuove piante: cactus, fichi d’India, frutti che una volta si guardavano con sospetto, come roba da pastori o da zone marginali. E invece… oggi il fico d’India diventa simbolo di una nuova speranza.

Non è solo una pianta: è un’idea. È la dimostrazione che anche dal dolore agricolo – perché sì, perdere un uliveto è un lutto – si può generare qualcosa di buono. Resiliente. E perfino redditizio.

In una terra dove la fatica non ha mai fatto paura, c’è chi ha preso il coraggio di reinventarsi. E ha scelto il fico d’India. Non certo per moda, ma per necessità. Per sopravvivere, sì, ma anche per dire: “Noi siamo ancora qui”.

I numeri non mentono: ettari interi coltivati, frutti venduti in Italia e all’estero, prodotti trasformati in succhi, cosmetici, farine. Lì dove la terra sembrava condannata, ora c’è vita. Un’agricoltura nuova, intelligente, che guarda avanti. Che sfrutta il sole e combatte la siccità con piante che non chiedono acqua, ma sanno dare tanto.

Ecco, io penso che il fico d’India dovrebbe finire sui libri di scuola. Non solo come specie botanica, ma come lezione di vita. Perché è spinoso, certo, ma dentro è dolce. Perché cresce dove altri non crescono. E perché, a suo modo, ci somiglia.

Chi pensa che il Sud sia solo assistenzialismo, piagnistei e ritardi, venga a farsi un giro nei campi di Lecce. Parli con chi ha perso tutto e ha ricominciato. Ascolti i contadini che hanno piantato cactus al posto degli ulivi. Non c’è niente di esotico in quello che stanno facendo: c’è solo una volontà ferma di esistere.

Ed è anche per questo che il fico d’India merita rispetto. È una pianta povera, ma generosa. Non ha pretese. Non fa rumore. Cresce piano. E nel silenzio racconta un’Italia che spesso dimentichiamo: quella che lavora, che si adatta, che non si arrende mai.

In televisione facciamo tanti dibattiti. In politica, mille promesse. Ma forse, ogni tanto, basterebbe guardare cosa succede davvero, lontano dai palazzi. Magari in un campo assolato, dove un contadino salentino taglia un frutto con le mani callose. Lì c’è più verità che in cento talk show.

E allora, se oggi vogliamo parlare di rilancio, di futuro, di Sud che si solleva, partiamo da lì. Dalla terra. Dalle pale verdi. Dai frutti pieni di spine ma anche di zucchero.

Il fico d’India, nel suo silenzio, ci sta dicendo qualcosa. Ci sta dicendo che sì, è ancora possibile. Basta crederci. E piantarlo.

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