“La città è di chi ci vive, non di chi la compra”

di Antonio Bruno dottore agronomo

Il 3 giugno, a Lecce, in una piazzetta con un bel nome — Giosuè Carducci — ha parlato Alessandro Coppola, urbanista, professore, uno che studia le città non per venderle, ma per capirle.

Ha parlato di Milano, certo. Ma in realtà parlava di tutte le città d’Italia, che oggi sembrano crescere solo se c’è qualcuno disposto a pagarle a peso d’oro. Una città che funziona solo se è redditizia non è una città, è un centro commerciale con il cielo sopra.

Milano attrae investimenti da ogni dove — 600 milioni di euro nei primi sei mesi del 2024, più di Amsterdam. Bene. Bravi. Ma a che prezzo?

La casa sta diventando un bene di lusso. I giovani, i precari, le famiglie con un reddito normale — normale, eh, non povero — fanno fatica a trovare un tetto sotto cui vivere. Non un attico. Non un loft. Una casa. Punto.

Coppola ha usato una frase che dice tutto:

“Milano non è più la città del lavoro. È la città della rendita.”

Ora, proviamo a spiegarlo con parole semplici. Una volta si andava in città per lavorare, costruirsi una vita. Oggi molti devono andarsene perché non possono più permettersela. Non è il progresso, questo. È una sconfitta.

E allora? Allora serve il pubblico. Non quello che annuncia e non fa. Non quello che vende pezzi di città al miglior offerente. No. Serve uno Stato che protegga, che costruisca, che riequilibri.

Il patrimonio pubblico — le case popolari, gli edifici in disuso, le aree da rigenerare — deve tornare a essere usato per abitare, non per speculare. Deve offrire spazi accessibili. Deve calmierare i prezzi. Deve, come ha detto Coppola, impedire che la città diventi un privilegio per pochi.

E poi, diciamolo: la legge urbanistica italiana ha più di ottant’anni. È del 1942. Alcuni dei suoi principi — pianificazione, zonizzazione, rispetto del territorio — sono ancora validi. Ma oggi servono case flessibili, sostenibili, sociali. Serve più Vienna e meno vetrina.

Ci sono esempi:

  • In Cile, le case crescono con le famiglie.

  • In Svezia, i quartieri riciclano l’aria e l’acqua.

  • In Francia, usano gli spazi vuoti per farci vivere la gente.

Noi? Noi siamo fermi, o peggio, rimettiamo le chiavi delle città in mano al mercato. Il mercato non ha cuore. Non conosce il bisogno, conosce solo il margine di profitto.

E allora? Allora — dice Coppola — bisogna tassare gli alloggi lasciati vuoti, valorizzare i centri storici senza trasformarli in cartoline, aiutare chi resta, non chi specula.

Le città non sono solo fatte di pietre e progetti. Sono fatte di persone. Di figli che vorrebbero restare, di genitori che non vogliono essere sfrattati, di studenti che non devono scegliere tra affitto e cena.

Una città è viva solo se la sua bellezza è accessibile, non solo visibile.

Ecco, se fossi in tv e non nascondo che mi sento portato per quel lavoro, vi direi: difendete il diritto all’abitare.
Perché prima della casa vista lago, c’è la casa vista dignità.

— Antonio Bruno

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