L’Apocalisse dei Sud

di Antonio Bruno

Il Sud non è geografia: è destino. Non è latitudine: è condanna. Il Sud è la crepa che percorre la modernità intera, la sua piaga non rimarginabile. Dove c’è dominio cieco della tecnica, là sorge il Sud; dove il Capitale trasforma comunità in scarti, là si apre il Sud; dove il potere politico si riduce a maschera grottesca, là esplode il Sud.

Le statistiche parlano di percentuali, ma non dicono nulla del dolore. I numeri anestetizzano, riducono la tragedia a calcolo. La letteratura, sola, annuncia e prefigura: è parola oracolare, è l’urlo che squarcia il silenzio delle cifre. Borges e Bufalino, Scotellaro e Leogrande: tutti hanno visto l’abisso. E quell’abisso è oggi planetario.

Il “Mezzogiorno” è ovunque: in Africa come nei sobborghi d’Europa, in America Latina come nelle periferie metropolitane del Nord. Meridionali si diventa, inevitabilmente, sotto l’impero della globalizzazione. Il Sud è la forma che assume la vita quando perde senso, quando il lavoro non redime più, quando la terra non è più madre ma carcassa da sfruttare.

E la politica? Ombra senza corpo. Spettacolo miserevole. I nuovi feudatari accumulano potere personale, mentre le decisioni essenziali – quelle che riguardano il futuro di un popolo, la dignità di una comunità – evaporano nei corridoi dei mercati e delle tecnocrazie. La scuola, ridotta a officina dell’omologazione, consegna generazioni intere all’obbedienza.

E allora ascoltate: i Sud sono i segni dell’Apocalisse che avanza. Non “fine del mondo”, ma rivelazione implacabile. Rivelano che la civiltà del Capitale divora se stessa, che nessuna periferia è lontana, che nessuna migrazione è estranea. Rivelano che il mondo intero, se non si desta, sarà Sud: Sud dell’anima, Sud della dignità, Sud dell’umano.

Ci salverà la letteratura? Ci salverà la scuola? Illusione, se resteranno consolazioni. Potranno salvarci solo se torneranno ad essere fuoco, se sapranno incendiare coscienze, se diventeranno lotta contro l’“Impero dell’Identico” che vuole annullare ogni differenza.

Non resta che scegliere: o il Sud come tomba, o il Sud come annuncio di un’altra civiltà. O l’acquiescenza all’impero del Numero, o il riscatto attraverso una nuova parola, un nuovo logos, che dia senso all’esistenza e rovesci l’ordine che ci divora.

Il Sud è l’Apocalisse. E l’Apocalisse non è fine, ma giudizio.


Meridionali si diventa di Sandro Abruzzese (Rogas, 286 pagine, 22 euro) è l’ultimo lavoro del docente irpino di Ferrara, una raccolta di articoli che esplora con acume e chiarezza il tema della meridionalità, ieri, oggi e domani.

Il libro sviluppa una tesi netta e provocatoria: così come esiste uno iato tra città e campagna, tra centro e periferia, esiste un vero e proprio muro tra civiltà tradizionale e civiltà tecnologica. Chi non riesce a sentirsi a proprio agio nella modernità è destinato a vivere una condizione di marginalità nel pensiero sociopolitico dominante.

Per Abruzzese, il nodo centrale della dicotomia Nord-Sud riguarda il rapporto con il capitalismo: le aree periferiche non dispongono degli strumenti necessari per competere sul piano nazionale e internazionale. Tuttavia, l’autore sottolinea con forza che rimanere indietro nel mercato non equivale a essere culturalmente o comportamentalmente arretrati.

Con lucidità e spirito critico, Meridionali si diventa offre uno sguardo attento sulle dinamiche sociali e culturali del Mezzogiorno, invitando a riflettere sulla complessità della nostra identità collettiva.


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