Il Leviatano che non c’è nelle elezioni del 2025

di Antonio Bruno

C’è chi dice che la politica sia un contratto tra cittadini e potere: io cedo qualcosa della mia libertà, tu mi garantisci sicurezza, lavoro, protezione. Thomas Hobbes lo chiamava “Leviatano”, e ne descriveva la figura come necessaria a evitare che la vita dell’uomo diventasse “solitaria, povera, brutta, bestiale e breve”. Parole dure, ma che colgono un sentimento antico: l’uomo ha sempre cercato qualcuno più grande di lui che lo custodisse dal caos del mondo.

Nel Salento del dopoguerra, mi raccontava un vecchio segretario del Partito Socialista, quel Leviatano prendeva forma nella sezione di paese. Ti iscrivevi, partecipavi, magari sorridevi alle riunioni e, prima o poi, il lavoro arrivava, nelle sezioni del PCI lo chiamavano “aiuto per i compagni”. La protezione aveva un prezzo chiaro, lo scambio era comprensibile.

Oggi, però, guardando alla Puglia e ai suoi elettori, viene da chiedersi se quel Leviatano sia mai arrivato. Il sessanta per cento dei cittadini non vota più. E le ragioni non sono nobili sentimenti di democrazia, ma qualcosa di molto più terreno: la mancanza di fiducia nel ricevere davvero qualcosa in cambio. La partecipazione, senza il riconoscimento di un utile tangibile, perde senso; chi non vota non lo fa per rispetto della democrazia, ma perché ha smesso di credere che la politica possa offrirgli protezione o vantaggi concreti.

Il restante quaranta per cento che va a votare lo fa, nella maggior parte dei casi, per ragioni altrettanto pragmatiche: ha ottenuto o spera di ottenere qualcosa. Solo una sparuta pattuglia, come un coro minoritario e un po’ stonato, si muove per l’ideale di partecipazione alla vita democratica. Tutto il resto è calcolo, aspettativa, scambio: l’antica logica del Leviatano trasformata in una modernissima “ricerca tribale di utilità”.

Questo è il risultato di un mancato riconoscimento reciproco di legittimità: lo Stato e i suoi rappresentanti non vengono percepiti come custodi dei nostri bisogni, e così nasce l’ambizione di trovare un gruppo che almeno in qualche misura offra vantaggi concreti. La politica diventa una serie di scambi, promesse di utilità immediata, e il Leviatano, che un tempo dava sicurezza, oggi resta un mito, un’ombra lontana.

Forse siamo tornati allo stato di natura hobbesiano: concorrenza feroce, paura della precarietà, speranze spezzate. Solo che ora, invece del Leviatano che ti accoglieva nella sezione di paese, ci sono app attaccate ai telefoni e annunci pubblicitari che promettono tutto e niente. E noi, cittadini moderni, restiamo sospesi in un paradosso: più partecipiamo, più ci accorgiamo che il patto con il potere è evaporato.

Forse il Leviatano non esiste più. O forse non è mai esistito. E noi, come Hobbes ci ricordava, dobbiamo fare i conti con la solitudine della libertà che ci resta, povera, brutta, bestiale… e sì, anche un po’ breve.

 

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