Tra storia e futuro: costruire insieme il modello italiano di partecipazione

Coesione, responsabilità e modernizzazione del sistema produttivo

di Davide Tommasi

Il convegno si è svolto nella prestigiosa cornice del Chiostro dei Domenicani di Lecce, una delle strutture monumentali più iconiche della città, oggi sede di eventi culturali e centro di produzione di dibattito intellettuale. Sorto nel XV secolo e più volte rimaneggiato nel corso dei secoli, il Chiostro è da sempre un luogo in cui spiritualità, comunità e sapere si intrecciano. Le sue arcate, perfettamente scandite, hanno accolto per generazioni attività religiose, momenti di studio, assemblee civiche e incontri fra istituzioni.

La scelta di svolgere qui un dibattito sulla partecipazione dei lavoratori alla vita dell’impresa non è casuale: il chiostro, con la sua struttura aperta ma raccolta, richiama l’idea stessa di dialogo, di circolarità, di collaborazione. Un luogo che parla di passato ma che invita a guardare avanti; un luogo in cui, storicamente, la comunità era al centro di ogni decisione. È questa la cornice ideale per riflettere su una legge che, dopo oltre settant’anni di attesa, riporta il tema della partecipazione al centro del dibattito nazionale.

L’apertura di Mauro Giliberti

L’intervento introduttivo di Mauro Giliberti ha aperto il convegno con una riflessione profonda sulla portata storica e simbolica della nuova legge sulla partecipazione dei lavoratori alla governance aziendale. In qualità di moderatore, giornalista e conoscitore delle dinamiche del lavoro e delle relazioni industriali, Giliberti ha costruito un quadro ampio, andando oltre la semplice presentazione e offrendo una chiave di lettura politico-istituzionale del provvedimento.

Sin dalle prime battute ha chiarito come questa norma non debba essere percepita come un’aggiunta marginale al corpus legislativo, ma come una svolta nel principio stesso di organizzazione e gestione dell’impresa, un tentativo di avvicinare l’Italia ai modelli di cogestione già presenti da decenni in Germania, nei Paesi nordici e in parte dell’Europa centrale.

Ha spiegato come la presenza dei lavoratori negli organi decisionali non rappresenti un orpello simbolico ma un meccanismo di riequilibrio che modifica le dinamiche di potere all’interno dell’impresa, introducendo elementi di controllo, trasparenza e responsabilità diffusa. In questo senso, Giliberti ha ricordato che:

“È una conquista enorme, anche se qualcuno la definisce incompleta. In RAI, ad esempio, già sperimentiamo la presenza obbligatoria di un rappresentante dei lavoratori nel CdA. Non è un dettaglio, ma un passo avanti verso una vera trattativa interna”.

Questo riferimento alla RAI non è casuale: Giliberti ha utilizzato l’esperienza dell’azienda radiotelevisiva come esempio concreto di partecipazione strutturata, già in atto da anni, e come laboratorio istituzionale che dimostra come la presenza dei lavoratori nei consigli di amministrazione non generi caos, come spesso sostenuto dai detrattori, ma al contrario favorisca un ambiente decisionale più maturo e consapevole.

Ha poi osservato che la nuova legge si colloca in un momento storico particolarmente delicato per il mercato del lavoro: automazione, digitalizzazione dei processi, globalizzazione e trasformazioni tecnologiche rendono necessario un nuovo patto sociale fondato sulla responsabilità condivisa. In questo quadro, il ruolo dei lavoratori non può più essere relegato alla semplice esecuzione: essi devono diventare soggetti informati e coinvolti nelle strategie aziendali di medio e lungo periodo.

La dimensione politica della riforma

Uno dei punti centrali dell’analisi di Giliberti è stato il carattere politico – non solo tecnico – della legge. Ha sottolineato che l’approvazione con i soli voti della maggioranza e l’astensione del Partito Democratico costituiscono un segnale inequivocabile di una divisione profonda all’interno del panorama politico e sindacale italiano. Questa spaccatura, secondo Giliberti, va letta in almeno tre direzioni:

  1. Una divisione strategica nel centrosinistra, dove la partecipazione dei lavoratori agli organi di governance è vista da una parte come un’opportunità di modernizzazione e dall’altra come un rischio di indebolimento del tradizionale modello conflittuale del sindacato.

  2. Una affermazione culturale della maggioranza, che rivendica da sempre la necessità di superare il conflitto sociale a favore di un modello collaborativo ispirato alla Mitbestimmung tedesca.

  3. Il segnale di un cambiamento di fase nelle relazioni industriali italiane, dove la partecipazione inizia a essere considerata non più come un tema ideologico, ma come un fattore competitivo.

Giliberti ha quindi definito l’astensione del PD non come un semplice gesto tecnico, ma come una scelta che riflette le incertezze di una parte del mondo sindacale tradizionale e la difficoltà di abbandonare modelli consolidati di rappresentanza basati più sulla contrapposizione che sulla cogestione.

Partecipazione e rappresentanza: una sfida culturale

Un altro punto su cui Giliberti si è soffermato riguarda la profonda dimensione culturale della riforma. La legge, ha spiegato, non introduce semplicemente nuovi adempimenti, ma impone un vero e proprio cambio di mentalità che coinvolge l’intero sistema delle relazioni industriali: imprese, lavoratori, rappresentanze sindacali e persino le istituzioni pubbliche.

In questo quadro, la partecipazione non può essere ridotta a un meccanismo procedurale né a una presenza simbolica dei lavoratori nei consigli di amministrazione. Essa richiede, al contrario, un approccio fondato su trasparenza, condivisione dei dati strategici, capacità di dialogo e assunzione di responsabilità reciproca. Partecipare significa entrare nei processi decisionali con consapevolezza, contribuire alla visione di lungo periodo dell’impresa e riconoscere che la sostenibilità economica e sociale è un obiettivo comune.

Ripensare il ruolo dei lavoratori implica dunque la trasformazione dell’intero ecosistema decisionale: dalla governance alle politiche del personale, fino ai meccanismi di valutazione delle performance e alla gestione delle crisi aziendali. È un percorso che richiede fiducia, competenze e un terreno istituzionale capace di sostenere il dialogo tra le parti.

Per questo Giliberti ha definito la legge un punto di partenza, non un traguardo compiuto. Si tratta di un atto fondativo, destinato a produrre effetti solo se accompagnato da strumenti attuativi concreti, da regolamentazioni chiare e coerenti, da un sistema di incentivi che favorisca la partecipazione e, soprattutto, da una volontà politica stabile e determinata. La sfida è quindi duplice: normativa e culturale. Senza un cambiamento profondo nelle pratiche e nelle mentalità, la riforma rischia di rimanere inattuata o di produrre risultati parziali.

Giuseppe Mosa: il libro, la legge e la lunga marcia della partecipazione

L’intervento dell’avvocato Giuseppe Mosa, autore del volume Diritti al cuore dell’impresa, è stato uno dei momenti più intensi e tecnicamente rilevanti dell’intero convegno. Mosa ha collocato il suo lavoro in una cornice storica e simbolica di grande forza: la pubblicazione del libro è avvenuta mentre il legislatore dava finalmente attuazione a un principio rimasto per decenni inattuato nella Costituzione, quello della partecipazione dei lavoratori alla gestione dell’impresa.

“Un gioco di parole che diventa realtà. Dopo tre quarti di secolo, finalmente i lavoratori possono esercitare un diritto previsto dalla Costituzione. È solo l’inizio di un percorso che dovrà essere rafforzato”, ha affermato. Una frase che sintetizza l’idea di un cammino lungo e irrisolto, nel quale il riconoscimento formale del diritto non coincide automaticamente con la sua realizzazione sostanziale.

Nel suo approfondimento, Mosa ha affrontato la legge da una prospettiva giuridica, sistemica e culturale, mettendo in luce la sua portata trasformativa. Secondo l’avvocato, il provvedimento normativo rappresenta il risultato di una battaglia culturale più che di un mero intervento tecnico: per troppo tempo la partecipazione è stata percepita come un corpo estraneo, un’idea sospesa tra utopia sociale e timore per le conseguenze sulla governance aziendale. La norma, pur essendo un traguardo importante, non basta da sola a scardinare abitudini radicate.

E infatti Mosa ha sottolineato con forza che la partecipazione non può esaurirsi nella applicazione formale della legge.
“Non basta scrivere una norma, bisogna darle vita. La partecipazione deve diventare prassi quotidiana, non eccezione. È necessario un cambio di mentalità nelle imprese e nei sindacati. La legge è un seme: ora serve coltivarlo con strumenti concreti, incentivi fiscali, formazione e soprattutto con la volontà di superare diffidenze storiche”.

Questo passaggio rimarca un elemento decisivo: la riforma non vive solo nei testi legislativi, ma nella capacità dei soggetti coinvolti di interpretarla e applicarla nel contesto reale. Attuazione significa introdurre strumenti di trasparenza, modelli di consultazione strutturata, processi di co-decisione, percorsi formativi in grado di fornire ai lavoratori competenze manageriali e ai manager competenze relazionali.

Mosa ha quindi invocato la costruzione di una “nuova architettura partecipativa”, un modello integrato che tenga insieme diversi livelli della vita aziendale:

  • la governance, reinterpretata in chiave inclusiva e non meramente gerarchica;

  • il welfare aziendale, come area in cui la co-progettazione può produrre valore condiviso;

  • la responsabilità sociale, che assume un carattere interno prima ancora che esterno;

  • le tecnologie digitali, indispensabili per la trasparenza e il monitoraggio delle dinamiche produttive.

Il suo intervento, denso e articolato, ha conferito profondità al dibattito, ricordando ai presenti che la partecipazione non è un rito procedurale, ma un processo complesso, multilivello e soprattutto necessario per la modernizzazione del sistema economico italiano. Una sfida che richiede visione, strumenti e continuità politica: solo così la “lunga marcia” verso un capitalismo partecipativo potrà trovare compimento reale.

Adriana Poli Bortone: la memoria storica

L’intervento del sindaco di Lecce, Adriana Poli Bortone, ha rappresentato il punto di saldatura tra storia politica, cultura istituzionale e visione del futuro. Poli Bortone ha ricostruito il tema della partecipazione come il frutto di una lunga evoluzione sociale, economica e dottrinaria, definendolo senza esitazioni una “rivoluzione culturale”. Una rivoluzione, ha spiegato, che non si limita a introdurre un nuovo attore all’interno dei consigli di amministrazione, ma che modifica la logica stessa del potere in impresa, spostandola dalla contrapposizione al principio della corresponsabilità.

“La partecipazione non è solo presenza nel CdA, ma condivisione di responsabilità e utili. È una rivoluzione culturale che supera la conflittualità permanente dei sindacati. Ora serve un cambio di missione: meno scontro, più cogestione”, ha dichiarato.

Le sue parole hanno evidenziato come la partecipazione rappresenti una possibile via d’uscita dallo schema storicizzato del conflitto industriale, proponendo invece un modello di cogestione in cui interessi dell’impresa e interessi dei lavoratori non siano contrapposti ma interdipendenti.

Poli Bortone ha inoltre richiamato la tradizione della destra sociale italiana, sottolineando come questo filone culturale abbia da sempre guardato con favore a forme di gestione partecipativa dell’impresa: non come concessione ideologica, ma come strumento di superamento del conflitto di classe in nome di un capitalismo più cooperativo, attento alla comunità e orientato alla prosperità condivisa.

Saverio Congedo (Fratelli d’Italia)

L’intervento dell’on. Saverio Congedo ha offerto una lettura spiccatamente istituzionale e pragmatica del processo riformatore. Congedo ha ricordato come l’Italia abbia atteso 77 anni per vedere un avvio di attuazione dell’articolo 46 della Costituzione, elemento che di per sé testimonia la natura complessa e stratificata della questione partecipativa.

La sua riflessione si è concentrata soprattutto sugli strumenti di sostenibilità economica della riforma. In Commissione Finanze – ha spiegato – sono in corso lavori per introdurre un sistema di incentivazione fiscale in grado di rendere la partecipazione strutturale e conveniente. Fra le misure allo studio, ha citato la detassazione delle azioni ai dipendenti, meccanismo adottato in diversi Paesi europei per favorire l’azionariato diffuso, rafforzare il senso di appartenenza e contribuire alla stabilità finanziaria delle imprese.

Congedo ha dunque collocato la partecipazione non solo sul piano culturale, ma su quello della ingegneria normativa, indicando che per funzionare essa necessita di incentivi e di un quadro fiscale che premi le imprese virtuose.

Claudio Stefanazzi (PD)

Il senatore Claudio Stefanazzi ha offerto una prospettiva diversa, legata alla delicatezza degli equilibri nel mondo del lavoro e nella rappresentanza. Spiegando la scelta del PD di astenersi, Stefanazzi ha sottolineato come tale decisione non nasca da contrarietà di principio verso la partecipazione dei lavoratori, ma dal desiderio di non interrompere il dialogo con la CISL, organizzazione che ha espresso posizioni critiche su parti della norma.

La posizione espressa dal senatore si lega a un tema centrale del dibattito: quello della rappresentatività sindacale. Stefanazzi ha richiamato l’esigenza di una legislazione chiara che definisca criteri univoci e trasparenti, così da evitare la proliferazione dei cosiddetti “sindacati pirata”, soggetti organizzativi che sfruttano vuoti normativi per stipulare accordi al ribasso, a danno dei lavoratori e della stessa concorrenza tra imprese.

La sua analisi ha dunque riportato l’attenzione su una questione cruciale: la partecipazione può funzionare soltanto in un sistema in cui gli attori della rappresentanza siano legittimati e riconosciuti, e in cui il confronto poggi su basi solide e non distorte.

Roberto Marti (Lega)

Il senatore Roberto Marti ha riportato il dibattito su un piano di realismo politico. Ogni riforma – ha ricordato – è il risultato di compromessi, perché un sistema democratico costruisce i suoi avanzamenti attraverso la mediazione. Ciò che conta, ha sottolineato, è aver “aperto una finestra dopo 75 anni”, mettendo finalmente mano a un principio costituzionale rimasto inattuato.

Marti ha invitato a un approccio graduale e pragmatico, sottolineando che la partecipazione deve evolvere senza irrigidire il sistema produttivo, senza creare vincoli ingestibili e senza rallentare la competitività delle imprese. L’obiettivo, secondo il senatore, è migliorare la norma nel tempo, attraverso sperimentazioni e verifiche, senza cedere alla tentazione di costruire una cornice normativa eccessivamente burocratica.

Tony Trevisi (Forza Italia)

Il senatore Tony Trevisi ha introdotto un tema spesso sottovalutato ma decisivo: quello della sicurezza sul lavoro come prerequisito irrinunciabile della partecipazione. La partecipazione, ha affermato, non può essere ridotta a un meccanismo di redistribuzione degli utili: essa deve integrarsi con un modello di benessere complessivo del lavoratore, a partire dalla tutela della vita.

Trevisi ha illustrato i suoi emendamenti dedicati all’inserimento di sistemi anticollisione basati su intelligenza artificiale, finalizzati a ridurre infortuni e incidenti nei settori ad alto rischio. Ha sintetizzato il suo pensiero in un’affermazione destinata a segnare il dibattito:
“Non basta dividere utili: bisogna garantire salute e benessere”.

Il suo intervento ha ampliato il perimetro della partecipazione, proponendola come un modello di welfare integrato, nel quale la prevenzione e l’innovazione tecnologica sono parte della stessa architettura partecipativa.

On. Raffaele Fitto (videomessaggio)

Nel suo videomessaggio, il ministro Raffaele Fitto, pur non potendo essere presente fisicamente, ha collocato la discussione italiana sul tema della partecipazione in un quadro europeo più ampio, sottolineando come l’Italia non possa affrontare da sola le sfide della modernizzazione industriale e della coesione sociale. Fitto ha ricordato che la partecipazione dei lavoratori non è una mera questione nazionale, ma una delle frontiere strategiche dell’Unione Europea, fondamentale per rafforzare la competitività e l’attrattività del sistema produttivo continentale.

Secondo il ministro, la competitività europea non può più basarsi esclusivamente su parametri macroeconomici come PIL, inflazione o tasso di disoccupazione, ma deve poggiare su tre pilastri strettamente interconnessi: capitale umano, dialogo sociale e coesione. Il capitale umano rappresenta la qualità e la formazione della forza lavoro; il dialogo sociale indica la capacità di integrare imprese, sindacati e istituzioni in un confronto costruttivo; la coesione garantisce che i benefici della crescita siano distribuiti equamente, riducendo disuguaglianze e tensioni sociali.

In questa prospettiva, la partecipazione dei lavoratori diventa uno strumento di democrazia industriale, capace di rafforzare la responsabilità condivisa all’interno delle imprese e di rendere il sistema produttivo più resiliente. Essa non è solo un principio teorico, ma una leva concreta per promuovere stabilità sociale, innovazione tecnologica e competitività sostenibile. Fitto ha inoltre sottolineato come i Paesi europei che hanno adottato modelli di azionariato diffuso e di partecipazione strutturata abbiano registrato non solo migliori performance economiche, ma anche una maggiore coesione interna, riducendo conflitti industriali e aumentando il senso di appartenenza dei lavoratori.

Il messaggio del ministro, quindi, va oltre la mera prospettiva normativa italiana: invita a legare le riforme interne al contesto europeo, facendo della partecipazione un fattore di integrazione economica e sociale, coerente con le politiche del mercato unico, del lavoro e del welfare europeo, e capace di rafforzare il ruolo dell’Italia come attore competitivo e responsabile nella UE.

Maurizio Renna

Il presidente Maurizio Renna ha posto l’accento sulla dimensione pratica e concreta della partecipazione, mostrando come essa possa tradursi in strumenti reali di collaborazione tra lavoratori e imprese. Renna ha valorizzato la cooperazione tra UGL e FederTerziario, citando in particolare l’esperienza di Fondo Italia come esempio emblematico: un progetto in cui la partecipazione non rimane un concetto astratto, ma si traduce in formazione professionale, welfare integrato e servizi mirati per i lavoratori e le imprese.

Secondo Renna, modelli di partecipazione di questo tipo dimostrano che la condivisione delle decisioni e delle responsabilità può generare benefici concreti e misurabili, creando un circolo virtuoso in cui i lavoratori non sono solo destinatari di politiche aziendali, ma soggetti attivi nella definizione delle strategie e dei servizi a loro destinati.

Ha inoltre sottolineato il ruolo cruciale del dialogo tra soggetti diversi – sindacati, associazioni datoriali ed enti bilaterali – per costruire modelli di partecipazione “dal basso”. In altre parole, non si tratta di imporre modelli dall’alto, ma di creare reti cooperative capaci di sperimentare nuove forme di governance condivisa, basate su trasparenza, fiducia reciproca e corresponsabilità quotidiana.

Renna ha quindi rilanciato l’idea che la partecipazione possa essere un vero motore di innovazione sociale ed economica, capace di rafforzare il tessuto produttivo e di promuovere una maggiore integrazione tra welfare, formazione e sviluppo aziendale.

Veronica Merico (UGL Lecce)

L’intervento di Veronica Merico, segretario provinciale UGL Lecce, ha riportato il dibattito sul piano identitario e culturale, ricordando che la partecipazione non è un fenomeno recente, ma un elemento fondativo della cultura e della storia dell’UGL. Secondo Merico, essa rappresenta una conquista irrinunciabile, il frutto di decenni di impegno sindacale, dialogo con le istituzioni e sperimentazioni concrete nel mondo del lavoro.

“La partecipazione – ha sottolineato – è una conquista che nessuno potrà cancellare”, perché va oltre l’aspetto formale della legge: essa rappresenta un principio politico e sociale, che sancisce la dignità del lavoro, la sovranità dei lavoratori nella vita dell’impresa e la necessità di un modello economico più umano ed equo.

Merico ha evidenziato come la partecipazione contribuisca a costruire identità collettive e senso di appartenenza, rafforzando la coesione interna all’organizzazione e stimolando i lavoratori a diventare protagonisti attivi nei processi decisionali. Ha inoltre sottolineato che la partecipazione non è solo un diritto, ma un dovere sociale: promuove la trasparenza, incoraggia la responsabilità condivisa e rappresenta un antidoto alla frammentazione e alla conflittualità sterile.

In sintesi, l’intervento di Merico ha riaffermato la partecipazione come valore centrale della missione UGL, un principio guida capace di orientare le politiche sindacali, le relazioni industriali e la costruzione di un sistema economico più equilibrato e sostenibile.

Gli interventi tecnici: profili giuridici, economici e organizzativi

La sezione tecnica del convegno ha offerto un approfondimento di grande spessore sul cuore operativo della riforma, evidenziando come la partecipazione dei lavoratori non sia un semplice adempimento formale, ma un processo complesso che coinvolge governance, diritto societario, incentivi economici e cultura organizzativa. Due interventi, quello dell’avv. D’Aversa e del dott. Montanaro, hanno fornito prospettive complementari e strettamente integrate, chiarendo rischi, strumenti e opportunità per rendere la partecipazione un fattore reale di innovazione e competitività.

Gli interventi tecnici e la dimensione strategica della partecipazione

La sezione tecnica del convegno ha rappresentato il cuore operativo della discussione sulla partecipazione dei lavoratori nelle imprese, mostrando come essa non sia un semplice adempimento normativo, ma un processo complesso e multifattoriale, che coinvolge aspetti giuridici, economici, organizzativi e culturali. Gli interventi dell’avv. D’Aversa e del dott. Montanaro hanno evidenziato le condizioni necessarie affinché la legge si traduca in prassi reale e sostenibile, collegandosi idealmente agli interventi politici, culturali e europei dei partecipanti come Raffaele Fitto, Maurizio Renna e Veronica Merico.

Profili giuridici: Avv. Emanuela D’Aversa

L’avvocato D’Aversa ha approfondito le implicazioni giuridiche della riforma, sottolineando come il diritto alla partecipazione debba essere accompagnato da certezza e chiarezza applicativa. Sebbene la legge stabilisca principi generali di partecipazione dei lavoratori nei consigli di amministrazione, rimangono aree di discrezionalità interpretativa che possono generare contenziosi e incertezze operative.

Tra i punti critici individuati:

  • Nomina dei rappresentanti dei lavoratori: criteri di elezione, requisiti di eleggibilità e durata dei mandati devono essere chiaramente definiti per evitare conflitti tra sindacati o con l’azienda.

  • Accesso alle informazioni strategiche: è necessario bilanciare la trasparenza richiesta ai lavoratori con la tutela dei segreti industriali e delle strategie aziendali.

  • Meccanismi decisionali: quorum, procedure di voto e deliberazione devono essere regolati per prevenire blocchi e garantire la funzionalità degli organi collegiali.

D’Aversa ha proposto strumenti concreti per superare questi ostacoli: linee guida operative nazionali, protocolli standardizzati per l’accesso ai dati sensibili e procedure di mediazione preventiva per ridurre conflitti legali. La sua analisi ha evidenziato che senza sicurezza giuridica, anche l’impegno culturale e politico a favore della partecipazione rischia di rimanere inefficace.

Dimensione economica e strategica: Dott. Montanaro

Il dott. Montanaro ha integrato la prospettiva giuridica con un’analisi economico-strategica, evidenziando come la partecipazione possa diventare un vero fattore di competitività se supportata da incentivi concreti e stabilità normativa.

Secondo Montanaro, tre elementi sono fondamentali:

  1. Incentivi fiscali mirati: detassazioni, crediti d’imposta e premi per le aziende che implementano strutture partecipative, trasformando la partecipazione in vantaggio competitivo e non solo in obbligo normativo.

  2. Stabilità normativa: un quadro legislativo chiaro e duraturo è essenziale affinché le imprese possano pianificare a lungo termine e investire in formazione dei rappresentanti dei lavoratori senza timore di cambiamenti improvvisi.

  3. Formazione e cultura organizzativa: la partecipazione richiede competenze specifiche, sia per i lavoratori – che devono essere in grado di contribuire consapevolmente alle decisioni strategiche – sia per i manager, che devono sviluppare capacità di leadership condivisa e gestione del conflitto.

Montanaro ha sottolineato come l’adozione corretta della partecipazione possa generare benefici concreti: maggiore motivazione dei dipendenti, riduzione dei conflitti interni, aumento della produttività e resilienza dell’impresa. La combinazione di incentivi economici, sicurezza normativa e formazione crea un ecosistema favorevole all’innovazione, capace di rendere l’impresa più competitiva e socialmente responsabile.

Gli interventi tecnici trovano piena continuità con i contributi politici e culturali emersi durante il convegno. In particolare:

  • Il videomessaggio di Raffaele Fitto ha inserito la discussione nel quadro europeo, sottolineando come la partecipazione dei lavoratori sia una leva strategica per aumentare la competitività, la stabilità sociale e l’innovazione all’interno dell’Unione. La prospettiva europea rafforza l’idea che la partecipazione non sia un fenomeno isolato, ma uno strumento integrato di sviluppo economico e coesione sociale.

  • Il presidente Maurizio Renna ha mostrato esempi concreti di partecipazione applicata, come la collaborazione tra UGL e FederTerziario e i progetti di Fondo Italia, in cui la partecipazione si traduce in formazione, welfare e servizi concreti per lavoratori e imprese. Renna ha sottolineato l’importanza del dialogo dal basso, in cui sindacati, imprese e enti bilaterali costruiscono governance partecipative basate su fiducia, responsabilità condivisa e cooperazione quotidiana.

  • Veronica Merico ha ricordato la dimensione identitaria e culturale della partecipazione, evidenziando come essa rappresenti un principio fondativo della cultura sindacale UGL, che va oltre la legge: è un riconoscimento della dignità del lavoro, della sovranità dei lavoratori e della necessità di un modello economico più equo e umano.

Gli interventi tecnici hanno mostrato che la partecipazione dei lavoratori non può limitarsi a un atto normativo isolato, ma deve essere sostenuta da:

  • Certezza giuridica, per evitare contenziosi e interpretazioni divergenti;

  • Incentivi economici e stabilità normativa, per motivare le imprese e rendere la partecipazione sostenibile;

  • Formazione e cultura organizzativa, per trasformare la norma in prassi quotidiana;

  • Integrazione con il contesto politico, culturale ed europeo, per massimizzare benefici sociali ed economici.

In questo senso, il percorso delineato dagli interventi tecnici e politici mostra come la partecipazione non sia un traguardo immediato, ma una “lunga marcia” culturale, istituzionale ed economica, che richiede visione, strumenti concreti e volontà condivisa. Solo integrando giuridico, economico, politico e culturale la riforma può tradursi in innovazione reale, competitività sostenibile e coesione sociale.

Le conclusioni – Francesco Paolo Capone (UGL) e Alessandro Franco (FederTerziario)

La parte conclusiva del convegno ha rappresentato il cuore pulsante dell’incontro, sia per densità dei contenuti sia per il valore simbolico e strategico delle riflessioni offerte. In questa fase, le parole dei relatori non hanno soltanto sintetizzato i dibattiti precedenti, ma hanno delineato una visione operativa e culturale per il futuro del lavoro, delle imprese e del sistema produttivo italiano.

Francesco Paolo Capone (UGL): la dimensione identitaria e politica

Francesco Paolo Capone ha aperto le conclusioni con un intervento ampio, vibrante e profondamente politico, collocando la legge 76/2025 in un percorso storico e identitario del sindacato. Capone ha sottolineato come la riforma non sia un semplice atto legislativo, ma un riconoscimento della dignità del lavoro e un tassello fondamentale nella costruzione di una cultura di responsabilità condivisa:

“Questa è una conquista che appartiene a tutti i lavoratori italiani. Non è solo un atto normativo, ma un riconoscimento della dignità del lavoro. L’UGL ha sempre creduto nella partecipazione come strumento di coesione e di responsabilità.”

Capone ha insistito sul fatto che la partecipazione non debba rimanere un concetto astratto o un dispositivo scritto, ma trasformarsi in prassi quotidiana, radicata nella cultura delle imprese, dei sindacati e delle istituzioni. Ha evidenziato come la vera sfida sia culturale: superare diffidenze storiche, costruire fiducia reciproca e creare un nuovo patto sociale basato su corresponsabilità, trasparenza e impegno condiviso.

In un’ottica operativa, Capone ha delineato un vero e proprio manifesto di applicazione della partecipazione, articolato su diversi assi:

  • Formazione congiunta di lavoratori e dirigenti, per sviluppare competenze nella governance condivisa e nella gestione dei conflitti;

  • Nuove forme di rappresentanza, capaci di integrare la voce dei lavoratori nei processi decisionali strategici;

  • Sostegno alle imprese che aprono alla partecipazione, attraverso incentivi concreti e strumenti di accompagnamento;

  • Digitalizzazione dei processi decisionali, per garantire trasparenza, tracciabilità delle scelte e accesso rapido alle informazioni;

  • Monitoraggio dei modelli europei, per imparare dalle best practice e adattarle al contesto nazionale;

  • Integrazione con politiche di welfare e sicurezza, collegando partecipazione a prevenzione dei conflitti, responsabilità ambientale e sicurezza sul lavoro.

La visione di Capone non riguarda solo l’applicazione immediata della legge, ma guarda al futuro del sistema Paese, immaginando una cultura partecipativa come leva per coesione sociale, stabilità economica e modernizzazione delle imprese italiane.

Alessandro Franco (FederTerziario): la prospettiva dell’impresa

L’intervento di Alessandro Franco ha completato la riflessione di Capone, mettendo al centro la dimensione imprenditoriale della partecipazione. Franco ha sfatato alcuni pregiudizi diffusi, ricordando che la partecipazione non rappresenta un ostacolo alla gestione aziendale, ma un’opportunità concreta per migliorare la produttività, la stabilità e il clima interno:

“Le aziende devono comprendere che la partecipazione non è un ostacolo, ma un’opportunità. Coinvolgere i lavoratori significa avere maggiore stabilità, ridurre conflitti, aumentare la produttività.”

Franco ha illustrato come FederTerziario sia pronta ad accompagnare le imprese italiane in questo salto culturale e operativo, attraverso una serie di strumenti concreti:

  • Percorsi di formazione manageriale sulla governance partecipata, per supportare i dirigenti nella gestione di processi condivisi;

  • Consulenza per l’introduzione di piani di partecipazione finanziaria, rendendo i lavoratori protagonisti dei risultati economici;

  • Modelli di welfare integrato, collegando partecipazione, salute, sicurezza e sviluppo delle competenze;

  • Piattaforme digitali per la comunicazione interna, strumenti utili a garantire trasparenza e coinvolgimento continuativo;

  • Programmi di certificazione della partecipazione, per riconoscere formalmente l’adozione di modelli aziendali inclusivi e responsabili.

Franco ha sottolineato come la partecipazione sia un fattore di resilienza per le imprese: riduce il turnover, migliora il clima interno, stabilizza la produttività e aumenta la capacità di attrarre capitale umano qualificato. Secondo Franco, il vero obiettivo non è solo applicare la legge, ma trasformare il modello di impresa italiana in un modello partecipativo, inclusivo e sostenibile.

Visione integrata: un nuovo patto sociale

Le parole di Capone e Franco si sono intrecciate in un’unica direzione, offrendo una visione organica in cui sindacato e impresa collaborano per costruire un nuovo patto sociale. Questo patto supera le logiche del passato, caratterizzate da conflittualità e diffidenza, e guida la trasformazione del sistema produttivo verso un modello più moderno, equo e sostenibile.

Il convegno si è chiuso con un messaggio chiaro e condiviso: la partecipazione non è un orpello né una concessione, ma una strada obbligata per un’economia moderna. Nel Chiostro dei Domenicani, tra storia e futuro, questa consapevolezza ha trovato voce, prospettiva e un rinnovato impegno collettivo: lavoratori, imprese e istituzioni sono chiamati a costruire insieme un ecosistema partecipativo, capace di promuovere crescita, coesione e responsabilità condivisa.

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Nel cuore di Lecce, tra parcheggi liberi e culture “eretiche”

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