"Scrivere oggi: tra performance e conversazione"

di Antonio Bruno

Arnaldo Greco, nel suo recente pamphlet pubblicato da Utet, racconta con ironia e lucidità come sia cambiato il nostro rapporto con la scrittura. Oggi, dice, non scriviamo più soltanto per comunicare, ma per esserci, per marcare la nostra presenza nel mondo. Lo facciamo per difenderci o attaccare, per stupire o negare, inseguendo l’effetto, la battuta pronta, il colpo vincente. È un cambiamento profondo, una vera mutazione culturale, accelerata dai social e dalle chat, ma non provocata soltanto da loro. Scrivere, ormai, è spesso una performance, un atto pensato per un pubblico – anche se quel pubblico è formato da poche persone.

Chi legge il libro di Greco non può non riflettere sullo scarto rispetto alla scrittura di una volta. C’è chi ricorda diari privati e lettere lunghe, curate fin nei dettagli, in cui le parole servivano a scavare dentro di sé, a chiarire emozioni, a dare forma ai pensieri. Per la generazione dell’autore, la scrittura era un lavoro di scoperta interiore; oggi, per molti giovani, è soprattutto un mezzo per agire, reagire, ottenere risposte, cuoricini o like. Greco teme che così si possa perdere la magia di quando la scrittura era non solo una vetrina, ma anche mestiere, disciplina e intimità.

Eppure, io credo che esista anche un’altra prospettiva. I social, se usati con consapevolezza, possono essere un diario sempre aperto, a disposizione in qualunque momento e da ogni parte del mondo. In fondo, la scrittura rimane sempre una conversazione. Non necessariamente con un pubblico ampio: può essere un dialogo silenzioso con se stessi, o con interlocutori ideali. Leggere e scrivere diventano così un confronto continuo con altre menti. Io, ad esempio, ho conversato – attraverso i loro libri – con Humberto Maturana, Virginia Satir, Milton Erickson, René Girard, Pëtr Uspenskij, Georges Gurdjieff, Gabriella Tupini ed Eckhart Tolle.

Per questo, non vedo un rischio nella scrittura digitale: anzi. Senza i social e senza la rete, forse non avrei mai avuto quelle conversazioni. La parola scritta, anche nel contesto veloce e pubblico di oggi, può ancora essere uno spazio di esplorazione e crescita, capace di trasformare la piazza virtuale in un luogo di riflessione profonda.



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