Santulasi, la memoria contadina che resiste al vento del mare
di Antonio Bruno
Siamo andati a Salve, nel basso Salento, dove la campagna profuma di timo selvatico e il vento salato del mare arriva fino agli ulivi. Lì, tra muretti a secco e stradine di campagna, si erge la Masseria Santulasi, un piccolo mondo antico che sembra rimasto sospeso nel tempo.
La prima immagine è quella della torre: una colombaia del 1577, nata per difendere la gente dalle incursioni dei pirati, quando la costa era pericolo e il mare promessa e minaccia insieme. Un avamposto, collegato con le torri costiere e i paesi dell’interno. Un pezzo di architettura difensiva che con il tempo è diventato cuore agricolo, luogo di lavoro e di vita.
Il cortile racconta una storia semplice e durissima. Il massaro abitava al piano terra, pronto a governare pecore e campi; sopra, i proprietari, che venivano solo nei periodi della raccolta. Ogni ambiente è pensato per la fatica: porte basse per trattenere il calore, camini in ogni stanza, un torchio per il vino, le pietre consumate dai passi. E intorno la grande aia, dove si festeggiava la fine della trebbiatura, una delle rare gioie della civiltà contadina.
La masseria è dedicata a San Biagio, vescovo e martire, protettore della gola e — dicono le tradizioni locali — anche degli innamorati. Il 3 febbraio, giorno del santo, la comunità si ritrova qui, come facevano i nonni e i bisnonni: una festa con la benedizione dei pani, un rito antico che ancora richiama gente da ogni parte d’Italia.
Poi c’è l’ulivo. Sopravvissuto alla xylella, un male che ha piegato migliaia di piante in tutta la Puglia, quell’albero è oggi il simbolo del posto. Intorno, sette vasche di pietra disposte a cerchio: un santuario laico nato quasi per caso, diventato luogo di meditazione e silenzio.
Camminare nella Masseria Santulasi significa attraversare secoli di vita: la pietra delle mura, la cisterna che raccoglie l’acqua piovana, la pagliara che ospitava i braccianti stagionali, i recinti per le pecore, persino una vecchia sputacchiera degli anni Trenta con l’iscrizione della Federazione fascista contro la tubercolosi. Ogni dettaglio è un frammento di un’epoca in cui tutto si costruiva per durare.
Oggi, in un Salento sempre più turistico, Santulasi resta un luogo autentico: non una cartolina, ma una memoria viva. Un posto che ricorda che la nostra storia non è solo fatta di città d’arte e monumenti, ma anche di pietra ruvida, di fatica contadina e di fede semplice, che ha saputo tenere insieme le comunità per secoli.
Bibliografia essenziale
Carito, G., Le masserie del Salento, Edizioni del Sud, 2003.
Cazzato, V., Architettura rurale nel basso Salento, Congedo Editore, 1997.
De Giorgi, C., La Terra d’Otranto, Capone Editore, 2002 (ristampa).
D’Elia, E., San Biagio: culto e iconografia tra Oriente e Occidente, Edizioni Artebaria, 2015.