“Quel Salento che non si arrende alla plastificazione del paesaggio”
Io al Salento ci sono sempre stato affezionato. Sarà il mare che sembra disegnato da un pittore romantico, saranno i muretti a secco che raccontano storie antiche, oppure quelle masserie che, anche se cadenti, hanno più dignità di mille grattacieli in vetro. È un Sud che profuma di ulivo e di memoria. Ora però leggo che vogliono metterci sopra — proprio lì — un “mega parco agrivoltaico” da 70.122 pannelli. Settantamila. Fermi tutti.
Non sono contro il progresso, ci mancherebbe. Ho sempre detto che se una cosa serve, va fatta. Ma la domanda vera è: serve davvero così, serve davvero lì, serve davvero adesso?
L’illusione del “verde che conviene”
Ci raccontano che porterà un milione di euro l’anno, che i Comuni incasseranno l’IMU come se piovesse e che si coltiverà pure foraggio e miele sotto ai pannelli. È la nuova narrazione del "fotovoltaico buono": produce energia, si fa amico dell'agricoltura e regala pure le api.
Però poi leggi le carte. E scopri che la Regione Puglia, che il paesaggio lo conosce, dice che manca una valutazione seria dell’impatto cumulativo. Che si mette a rischio la biodiversità. Che non è chiaro se davvero si potrà coltivare sotto quei pannelli. E che tutto questo potrebbe semplicemente diventare un altro pezzo di campagna trasformato in zona industriale, con la scusa dell’energia verde.
Il paesaggio non è carta da imballaggio
Mi fa impressione — lo dico davvero — pensare che nel nome della sostenibilità ambientale stiamo finendo per imballare il paesaggio, come se fosse un pacco da spedire. Solo che il paesaggio non è roba nostra. È dei nostri figli. È dei turisti che tornano qui perché vogliono vedere ulivi, non silicio. È dei contadini che sanno cosa vuol dire vedere sorgere il sole dietro a una vigna, non dietro a una griglia di metallo.
Le soluzioni ci sono, se si vuole ascoltare
Certo, si può fare un agrivoltaico diverso. Con barriere verdi, con pannelli alti almeno due metri e mezzo per farci passare i trattori. Si possono colorare i pannelli di terracotta, come nei progetti toscani. Si può evitare l'effetto “muro nero” davanti alle masserie. Ma queste cose vanno progettate insieme al territorio, non imposte da una S.r.l. con un rendering da brochure.
Bisogna partire da un principio: la bellezza è un valore economico e civile. E una distesa di pannelli in un mosaico agricolo secolare non è un passo avanti: è un passo falso.
Una domanda per chi governa
Quindi mi rivolgo, come spesso faccio, a chi governa, locale o nazionale: volete davvero lasciare che il Salento diventi un parco energetico decorato con un po’ di verde di facciata? Oppure potete fermarvi un attimo, ascoltare la terra, e trovare un modo per far convivere sole, agricoltura e paesaggio?
La vera modernità è nel rispetto. Non nel silicio.
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di Antonio Bruno
Salento, oggi, con un occhio affettuoso e critico come sempre
per approfondire: https://centrostudiagronomi.blogspot.com/2025/06/quel-salento-che-non-si-arrende-alla.html