La nobile eredità dei Bacile di Castiglione a Spongano
Il Salento e la memoria nobile di una famiglia poliedrica
A Spongano, un viaggio nel tempo tra storia, arte e intelletto sulle tracce dei Bacile di Castiglione
di Antonio Bruno
C’è un angolo del Salento dove il tempo sembra essersi fermato. Non per nostalgia, ma per la densità di storia, cultura e passione che ancora abitano quelle mura. Siamo a Spongano, nel cuore del Sud, in quella terra che spesso ha parlato con voce flebile ma intensa. Qui, nella dimora della famiglia Bacile di Castiglione, si incontra una memoria familiare che incanta.
La casa, un tempo fortezza episcopale e poi residenza patrizia, racconta i secoli attraverso le sue pietre, le decorazioni e i silenzi. Un palazzo oggi segnato dal tempo, ma vivo di racconti e di tracce di chi l’ha abitato con spirito pionieristico e cultura raffinata. I Bacile non erano nobili da salotto, ma uomini d’azione, di pensiero, di progresso.
Tra tutti, spicca la figura di Filippo, barone poliedrico: architetto, ispettore ai monumenti, amico di Benedetto Croce, appassionato di araldica, promotore della ferrovia nel Capo di Leuca e, non ultimo, salvatore del castello Carlo V di Lecce.
Filippo portò la ferrovia a Gagliano del Capo a proprie spese. Fu un ponte tra Roma, la Germania e questo angolo remoto d’Italia. Un uomo che difese il patrimonio, corrispondeva con sovrani e studiava con passione l’araldica e l’arte. A lui si deve, tra l’altro, lo stemma della città di Lecce. Eppure, come spesso accade ai grandi custodi della memoria, il suo stemmario è andato perduto. Un tesoro scomparso, che ancora si cerca.
Passeggiando per le stanze, si respira un amore autentico per l’arte e la storia. Ogni quadro ha un significato, ogni oggetto è parte di un discorso. C’è la “latteria”, dove le tabacchine allattavano i propri figli: un’intuizione sociale ante litteram. C’è la sala da pranzo decorata in stile pompeiano, con un quadro per ogni secolo, a ricordare che la storia non è mai un racconto lineare, ma un collage di sensibilità.
E poi le reliquie, custodite con pudore nella cappella di famiglia; le opere contemporanee, le sculture alchemiche, i dipinti che giocano con luce e profondità. Tutto parla di un’educazione sentimentale e culturale che oggi sorprende per la sua attualità.
In un angolo della dimora, un oggetto in avorio: un cubo di Rubik ante litteram, realizzato da monaci cinesi. Una sfera dentro l’altra, lavorata con pazienza millenaria. Come la nostra storia, da scoprire strato dopo strato.
Questo viaggio, tra aneddoti di famiglia, balli in terrazza e corrispondenze con re, non è solo un tuffo nel passato. È la prova che la memoria non è polvere, ma materia viva, capace di nutrire il presente. A patto di saperla ascoltare.
Ecco, forse proprio qui, tra stemmi, frantoi ipogei e soffitti affrescati, si capisce cosa significhi davvero essere nobili: custodire, tramandare, condividere.
E Filippo, con la sua opera dimenticata e la sua visione, ci appare oggi più attuale che mai.