Quando una dimora racconta la storia di tutti noi
di Antonio Bruno
C’è una bellezza silenziosa che attraversa i secoli e si ferma, quasi per miracolo, sulle pietre antiche di certe dimore. Non sono semplici edifici: sono testimoni di un tempo che non c’è più, ma che ci guarda ancora, da uno stipite scolpito, da un soffitto liberty, da un ritratto dimenticato.
È il caso di Palazzo Maremonte a Lecce. Un nome che sembra uscito da un romanzo di cappa e spada, e che invece appartiene a una delle famiglie più antiche del Salento. I Maremonti, nobiltà di origine normanna, hanno attraversato secoli di storia fino a estinguersi nella metà dell’Ottocento, lasciando dietro di sé il respiro della Storia — quella con la “S” maiuscola — incastonato nelle mura domestiche.
Passeggiare per quei saloni, oggi curati con passione dalla famiglia Fumarola, è come sfogliare un libro senza parole, dove ogni oggetto, ogni quadro, ogni dettaglio ha qualcosa da dire. Dai dipinti barocchi di Oronzo Tiso alla forza narrativa di un Curzio romano che si sacrifica per la patria, tutto in quella casa parla. Anche le leggende — come quella, ottocentesca e fosca, del delitto d’onore — diventano parte di un racconto più grande, in cui la verità storica si intreccia con la memoria familiare.
Mi ha colpito — e commosso — quella che chiamerei la “filosofia del custode”. I proprietari non si definiscono padroni, ma custodi di bellezza e di memoria. È un concetto profondamente italiano, eppure sempre più raro. In un tempo in cui tutto corre e si consuma, loro resistono. Restaurano, conservano, aprono i cortili, spiegano ai visitatori chi erano i loro nonni, da dove vengono i vasi, a cosa serviva quella cucina a legna. E lo fanno non per nostalgia, ma per responsabilità. Perché, come dicevano gli antichi, “la storia è maestra di vita”, ma solo se qualcuno la sa raccontare.
E allora è bello sapere che, una domenica di maggio, a Lecce e in tante altre città, si spalancano portoni normalmente chiusi. È un gesto semplice e straordinario. È l’Italia che non dimentica, che si prende cura delle sue radici, che le offre in dono a chi ha occhi per vedere.
In un Paese dove troppo spesso la memoria si consuma tra l’indifferenza o l’incuria, la storia di Palazzo Maremonte è un piccolo miracolo di resistenza culturale. E mi viene da pensare che anche questo sia un atto politico — nel senso più nobile del termine. Perché chi custodisce la bellezza non lo fa solo per sé, ma per tutti.
Dovremmo dirlo più spesso: chi salva un palazzo, salva un pezzo di noi.
Palazzo Maremonte a Lecce Via Principi di Savoia 67
Nel cuore del centro storico di Lecce, non distante da Porta Napoli, si erge Palazzo Maremonte, un’elegante dimora patrizia che rappresenta un significativo frammento di storia salentina. Il palazzo, oggi proprietà della famiglia Fumarola, incarna il valore della conservazione del patrimonio architettonico privato, ponendosi come esempio di continuità tra passato e presente.
Le origini: la famiglia Maremonte
Il palazzo prende il nome dalla famiglia Maremonte, una delle più antiche famiglie nobili leccesi di origine normanna. Tracce documentarie indicano che i Maremonte ebbero vasti feudi nel Salento e ricoprirono ruoli di rilievo nella vita politica e militare della regione, specialmente nel corso dell’età moderna. Tra i membri più illustri si ricorda Belsario Maremonte, il cui sepolcro in bronzo del XVI secolo è conservato nella chiesa madre di Campi Salentina.
La dinastia si estinse nella prima metà dell’Ottocento, epoca in cui il palazzo passò alla famiglia Chiellino, da cui discende l’attuale proprietà. Questo tipo di continuità ereditaria è una caratteristica frequente nelle dimore nobiliari meridionali, dove il patrimonio familiare veniva trasmesso attraverso le generazioni, spesso mediante linee ereditarie matrilineari, come in questo caso.
Architettura e interni: tra barocco e liberty
Palazzo Maremonte riflette nelle sue forme architettoniche e nei suoi arredi l’evoluzione del gusto dal barocco leccese – tipico del XVII e XVIII secolo, con influenze spagnole e napoletane – fino allo stile liberty di fine Ottocento e inizio Novecento.
Particolarmente interessante è la presenza di decorazioni floreali e strutture curvilinee, tipiche del liberty, probabilmente attribuibili all'artista Agesilao Flora, noto per aver decorato numerosi palazzi nel Salento. L’intervento di architetti come Marcisec, di origine polacca, si inserisce nel filone della modernizzazione decorativa di fine secolo, tesa a reinterpretare le dimore aristocratiche secondo il gusto della nuova borghesia colta.
Tra gli arredi e le opere conservate si segnalano dipinti della scuola napoletana e un’opera di Oronzo Tiso, artista leccese del tardo barocco, noto per la sua produzione pittorica religiosa e mitologica. Un dipinto raffigurante Curzio, l’eroe romano che si getta nella voragine per salvare Roma, simboleggia l’ideale dell’honor militare, tema ricorrente nell’iconografia nobiliare settecentesca.
Memorie familiari e storia nazionale
Tra le memorie tramandate vi è l’episodio del delitto d'onore compiuto da Giovan Francesco Maremonte nel 1640, un caso emblematico delle dinamiche sociali e giuridiche dell’aristocrazia d’Ancien Régime, dove l’onore familiare aveva valore preponderante rispetto al diritto codificato. Il perdono e la riconciliazione successiva rientrano in un contesto culturale che privilegiava l’unità familiare e il decoro dinastico.
Il palazzo custodisce anche memorie risorgimentali e post-unitarie, come il matrimonio del 1903 tra Carlo Fumarola e Felicia Chiellino. Carlo fu sindaco di Lecce nel 1907 e poi deputato in più legislature tra il 1910 e il 1924. Durante il governo Facta, al tempo della marcia su Roma, ebbe un ruolo diretto al Ministero dell’Interno. Secondo la tradizione familiare, avrebbe partecipato personalmente alla richiesta – rifiutata dal re Vittorio Emanuele III – di firmare lo stato d’assedio contro i fascisti.
La missione dei custodi del patrimonio
Come sottolineato anche nella letteratura sulla tutela delle dimore storiche italiane, i proprietari privati svolgono un ruolo di “custodi della memoria” (cfr. De Negri 2001). La conservazione delle residenze storiche, infatti, comporta non solo un impegno economico, ma anche culturale ed etico, volto a preservare per le future generazioni non solo i beni materiali, ma l’identità storica del territorio.
L’attuale famiglia Fumarola è attivamente impegnata nella valorizzazione culturale, aderendo all’Associazione Dimore Storiche Italiane (ADSI) e partecipando ogni anno all’iniziativa “Cortili Aperti”, evento che permette l’accesso ai palazzi privati normalmente chiusi, diffondendo conoscenza e sensibilità verso il patrimonio storico.
Masseria Tagliente: la continuità nella campagna pugliese
Accanto alla dimora urbana, la famiglia possiede anche la Masseria Tagliente, nei pressi di Martina Franca, dimora di campagna originata attorno a un toponimo locale (“Colle Tagliente”). Come avviene in molte famiglie nobili meridionali, la masseria rappresenta l’altra metà della presenza signorile, associata al controllo agrario e alle attività economiche extraurbane. Qui, come nel palazzo, si è mantenuto un attento lavoro di restauro nel rispetto dell’originaria impostazione architettonica e degli arredi d’epoca.
Bibliografia
De Negri, M. (2001). Le dimore storiche italiane: conservazione e valorizzazione. Firenze: Leo S. Olschki.
Spagnesi, G. (1992). Il restauro dei centri storici. Roma: Gangemi Editore.
D’Elia, M. (2005). Architettura e società nel Salento barocco. Lecce: Edizioni Grifo.
De Giorgi, C. (1882). La provincia di Lecce. Lecce: Tip. Salentina.
Andriani, D. (2013). Lecce Liberty. Roma: Palombi Editori.
Associazione Dimore Storiche Italiane (ADSI). www.adsi.it
Ministero della Cultura – Direzione Generale Archivi: Famiglie storiche e archivi nobiliari in Puglia, consultato su cultura.gov.it