Puglia, terra di stagioni (e precarietà): il lavoro non basta più
di Davide Tommasi
La Puglia è da anni uno dei simboli dell’Italia che attrae, che accoglie, che incanta. Terra di ulivi secolari, di borghi bianchi, di eccellenze gastronomiche e artigianali, è anche una regione con un capitale umano straordinario e con risorse economiche, culturali e ambientali da fare invidia. Ma dietro il racconto idilliaco, c’è un’altra storia, meno raccontata e molto più urgente: quella di una Puglia che non lavora tutto l’anno, che non valorizza appieno le sue persone, che non garantisce stabilità a chi lavora.
È una storia fatta di contratti a tempo determinato, di intermittenza occupazionale, di persone – soprattutto donne e giovani – che vivono in un perenne limbo lavorativo. Ed è una storia che oggi non può più essere ignorata.
A lanciare il grido d’allarme con chiarezza e coraggio è Filomena D’Antini, Consigliera Nazionale di Parità, che mette in fila numeri, responsabilità e soprattutto proposte, con un obiettivo preciso: aprire un dibattito serio sulla qualità dell’occupazione in Puglia, e sulla necessità di cambiare rotta.
Il quadro occupazionale: dati che non lasciano spazio a dubbi
Secondo il report 2025 di Labour Market Intelligence (Sviluppo Lavoro Italia), nel primo trimestre dell’anno a livello nazionale si è assistito a un deciso incremento dei contratti stabili: +322 mila contratti a tempo indeterminato. Allo stesso tempo, calano quelli a termine e stagionali (-22 mila), segno che le politiche nazionali stanno cominciando a produrre effetti positivi sulla qualità dell’occupazione.
Ma la Puglia sembra muoversi in controtendenza. Il dato più significativo? Il tasso di contratti a tempo indeterminato in regione è solo del 6,8%, in calo rispetto al già modesto 7,7% del 2023. E più di un terzo di questi contratti è part-time. Per le donne, il dato è ancora più critico: 33% dei contratti stabili sono part-time, spesso involontari.
Aumentano le attivazioni di contratti (+27 mila nel 2024), ma si tratta nella stragrande maggioranza dei casi di rapporti brevi, frammentati, discontinui: la media di contratti per lavoratore è 2,10, a indicare che moltissime persone devono firmare più contratti all’anno per restare a galla. Non c’è continuità, non c’è progettualità, non c’è sicurezza economica.
Donne e giovani: una marginalizzazione strutturale
Nel mercato del lavoro pugliese, le donne e i giovani continuano ad essere esclusi, nonostante rappresentino il cuore del potenziale produttivo della regione.
Le donne costituiscono solo il 40% delle nuove assunzioni, una soglia che conferma la persistente disparità di genere.
Gli under 35 si fermano al 38%, a testimoniare una scarsa capacità attrattiva per i giovani talenti e l’assenza di percorsi professionali credibili per le nuove generazioni.
“La precarietà colpisce tutti, ma colpisce più duramente chi ha meno potere contrattuale: donne e giovani. È su di loro che si gioca il futuro della Puglia”, osserva D’Antini.
Le politiche regionali? Insufficienti, frammentate, prive di visione
La denuncia della Consigliera è chiara: la Regione Puglia non ha saputo accompagnare la transizione verso un’economia moderna, innovativa e inclusiva.
Si parla da anni di destagionalizzazione, di diversificazione economica, di rilancio dei settori ad alta intensità di conoscenza. Ma la realtà dei fatti dice altro: mancano piani coordinati, manca un disegno strategico, manca la capacità di fare massa critica tra enti pubblici, imprese, formazione e comunità locali.
A fronte di bandi spesso complessi e frammentari, molte aziende non sono incentivate ad assumere stabilmente, e molte persone restano escluse da qualsiasi percorso formativo utile per entrare o restare nel mercato del lavoro.
Il grande assente: il PNRR (e la sua attuazione)
Tra le occasioni sprecate, spicca il PNRR. Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza ha destinato al Sud fondi senza precedenti per modernizzare infrastrutture, innovare la pubblica amministrazione, e soprattutto rafforzare l’occupazione e la coesione sociale.
In Puglia, tuttavia, manca l’impatto occupazionale di questi investimenti. Le risorse destinate a:
Start-up
Transizione ecologica
Digitalizzazione
Economia circolare
Formazione duale
Inclusione lavorativa di donne e giovani
...sono poco visibili sul territorio. Non si vedono nuove filiere produttive emergenti, non si registrano numeri significativi di assunzioni stabili, non ci sono progetti pilota da replicare.
“Il problema non sono le risorse: è l’assenza di visione. Se non colleghiamo formazione, imprese e comunità, il PNRR diventa solo una parentesi”, avverte D’Antini.
Le proposte: una Puglia che lavora tutto l’anno
La Consigliera lancia alcune proposte concrete e praticabili, fondate su esperienze già esistenti in altre regioni e su strumenti già disponibili:
Piano Regionale per la Stabilizzazione del Lavoro
Incentivi per le imprese che assumono a tempo indeterminato
Premialità nei bandi per chi garantisce contratti stabili
Fondo rotativo per accompagnare le microimprese verso l’occupazione regolare
Sviluppo di ecosistemi territoriali
Distretti produttivi locali in settori innovativi (green economy, turismo culturale, salute e benessere, agroindustria 4.0)
Supporto tecnico e finanziario alle PMI per investimenti strutturali e digitali
Parità di genere come leva di sviluppo
Diffusione della certificazione di parità di genere
Azioni mirate nei centri per l’impiego per supportare il lavoro femminile e la conciliazione vita-lavoro
Voucher per la formazione tecnica e STEM destinata alle donne
Formazione duale e orientamento precoce
Rafforzare i percorsi ITS (Istituti Tecnici Superiori)
Avviare percorsi di apprendistato di qualità legati a settori con domanda crescente
Collaborazione strutturata tra scuole, università e imprese
Il rischio: restare fermi mentre il Paese cambia
L’Italia, pur tra mille fatiche, sta tentando di uscire dalla trappola della precarietà. Il mercato del lavoro sta cominciando a premiare chi investe nel lungo periodo, nelle competenze, nel benessere organizzativo.
La Puglia non può permettersi di restare spettatrice passiva. Deve agire, con urgenza, determinazione e lungimiranza. Perché ogni anno perso è un’occasione in meno per trattenere i giovani, valorizzare il lavoro femminile e costruire una società più giusta.
“Non possiamo più limitarci a ‘occupare’ le persone. Dobbiamo aiutarle a crescere, a costruire percorsi professionali solidi e dignitosi”, afferma D’Antini.
La scelta è politica, non solo economica
La precarietà non è solo un problema di numeri. È una questione sociale, che produce insicurezza, marginalità, disuguaglianze. È una questione politica, che richiede scelte nette, strategie chiare, e il coraggio di sfidare interessi consolidati.
La Puglia può cambiare modello. Ma deve volerlo davvero.
“Senza un cambio di rotta deciso – fatto di formazione, incentivi, progetti innovativi e visione strategica – la Puglia rischia di restare il fanalino di coda. E questo, per una terra così ricca di talento e potenziale, sarebbe un fallimento inaccettabile”, conclude D’Antini.
L’appello finale
Il messaggio è chiaro: il tempo delle analisi è finito. Ora servono azioni. Coordinamento. Regole nuove. Visione.
La politica, le istituzioni, le imprese e la cittadinanza tutta devono essere parte attiva di un cambiamento possibile e necessario. Perché la stagione della precarietà può finire. Ma solo se la sostituiamo con un’altra: quella del lavoro buono, stabile, equo, inclusivo.