PARITÀ DI GENERE NEL LAVORO: DONNE, LAVORO E INCLUSIONE

di Antonio Bruno

Martedì 16 settembre, a Palazzo dei Celestini, non sarà un incontro come gli altri. Non sarà la solita passerella di parole vuote. Perché di vuoto, qui, c’è già troppo: vuote sono le statistiche che ci dicono che le donne guadagnano meno degli uomini per lo stesso lavoro, vuote le scuse che ci ripetono da decenni, vuota la pazienza di chi deve combattere ogni giorno contro un sistema che continua a dire “non è il momento”.

Il progetto si chiama “Parità di genere nel lavoro: donne, lavoro e inclusione”. Nome lungo, quasi burocratico, ma la sostanza è una: insegnare ai ragazzi e alle ragazze del Salento che la discriminazione non è una fatalità. È una costruzione sociale. È un veleno che ci hanno messo in testa sin da bambini, con le favole delle brave mogli e degli uomini forti, e che ora bisogna sputare fuori.

Quello che serve sono fatti, leggi rispettate, aziende che smettano di scartare un curriculum perché porta un nome femminile o perché “questa tra un anno fa un figlio.

Ci si aspetta la verità. Che si dica chiaro che il lavoro non è una concessione, che la parità non è una gentilezza: è un diritto. Che lo ricordi anche a chi oggi siede comodo nelle poltrone del potere.

I ragazzi di quattro scuole – Olivetti, Da Vinci, Meucci, Giannelli – racconteranno quello che hanno capito nel primo modulo, “Oltre gli stereotipi”. Ed è da loro che ci aspettiamo la rivoluzione. Perché se c’è qualcuno che può spaccare questo muro di ipocrisie, sono loro: con la loro rabbia fresca, la loro insofferenza per le ingiustizie.

Questo progetto durerà tre anni. Tre anni per insegnare a riconoscere le bugie con cui ci hanno addomesticato. Tre anni per imparare a dire NO quando dicono alle donne che non sono pronte, che non sono adatte, che “non è un lavoro per donne”. Tre anni per costruire un futuro in cui una ragazza disabile, una donna madre, un uomo che vuole fare il padre a tempo pieno, possano lavorare senza dover chiedere scusa a nessuno.

Perché il problema non è la mancanza di leggi. È la mancanza di coraggio. È la complicità silenziosa di chi vede l’ingiustizia e dice “pazienza”. E pazienza non bisogna averne più.

 

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