Menotti Corallo, la voce autentica della Lecce eterna

di Antonio Bruno

Ci sono uomini che non finiscono nei libri di storia, ma restano nei cuori della gente. Uomini che con una canzone, con una battuta a teatro, con un verso in dialetto, riescono a raccontare l’anima di un popolo meglio di mille trattati. Uno di questi uomini è stato Menotti Corallo.

Nato a Lecce il 14 maggio del 1893, Corallo fu uno scrittore, un commediografo, un attore, un regista. Ma soprattutto fu un poeta della sua terra. Non poeta nel senso aulico e distante del termine, ma poeta popolare, come quelli che si incontravano nelle piazze, nei vicoli assolati, nei teatri di provincia. Parlava e scriveva in vernacolo leccese, e proprio in quel dialetto ha saputo toccare corde universali: il sorriso, la nostalgia, l’identità.

Il suo capolavoro è senza dubbio Arcu de Pratu, una canzone diventata, nel tempo, il vero inno alla leccesità. Corallo ne scrisse il testo, mentre la musica fu firmata dal cugino Gino. Non era un’operazione commerciale, non c’erano sponsor o discografici dietro. Era una dichiarazione d’amore per Lecce, un omaggio sincero e struggente che da allora accompagna i salentini ovunque si trovino nel mondo: nei bar di Zurigo, nelle metropolitane di New York, nei mercati di Buenos Aires.

Arcu de Pratu non è solo una melodia. È un ponte emotivo tra chi è rimasto e chi è partito. Una finestra su una Lecce che resiste alle mode, che tiene viva la memoria. Menotti Corallo, con le sue poesie e le sue commedie, ha custodito un'identità che oggi rischia di essere sommersa dall’omologazione.

Quando si parla di cultura italiana, spesso si guarda ai grandi nomi: Pirandello, De Filippo, Pasolini. Ma anche Corallo, nel suo microcosmo, ha costruito un patrimonio prezioso. E lo ha fatto con gli strumenti dell’arte popolare, con le parole dette a bassa voce, con le risate strappate a un pubblico seduto su sedie di legno, sotto i tendoni d’estate.

Morì nel 1977, in un’Italia che stava cambiando in fretta. Ma il suo spirito resta. E oggi, mentre i dialetti si spengono e i teatri locali chiudono, riscoprire figure come Menotti Corallo non è solo un atto di giustizia culturale: è un’esigenza civile.

Perché in un paese che spesso dimentica le sue radici, ricordare chi ha saputo raccontarle con passione è il primo passo per non smarrire sé stessi.

 

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