Meglio Maturana che il populismo della vicinanza
Di fronte a un'epoca in cui tutto sembra ridursi all'emotività spicciola e alla “vicinanza” come strumento politico — e penso, senza mezzi termini, ad Antonio Decaro e al suo modo di raccontare la politica — io continuo a preferire l’ordine e la lucidità teorica di Humberto Maturana.
Attenzione, non si tratta di sminuire l’operato di Decaro. Ha fatto, e continua a fare, cose importanti a Bari: la lotta alla criminalità organizzata, l’accoglienza ai migranti, la battaglia per un Sud non assistito ma protagonista. Le sue storie di periferia, il suo linguaggio diretto, la capacità di camminare tra la gente e parlare in dialetto, costruiscono un personaggio autentico. Ma c’è un rischio, e voglio dirlo chiaramente: quello di confondere l’esperienza con il pensiero, l’azione concreta con la capacità di comprendere davvero il sistema in cui si muove.
Qui entra in gioco Humberto Maturana.
Maturana, con la sua teoria dell’autopoiesi e la biologia della conoscenza, ci invita a vedere la società come un sistema vivente, complesso, interdipendente, fatto di relazioni e linguaggio. In un tempo dove si invoca il “fare” come risposta a tutto, Maturana ci ricorda che prima di agire, bisogna comprendere. E per comprendere serve un pensiero che non si limiti alla buona volontà o all’empatia a senso unico, ma che sappia cogliere la struttura profonda delle cose.
Decaro è un bravo sindaco, ma è figlio di una politica che si alimenta di narrazione, non di riflessione sistemica. Il suo racconto tocca il cuore — e va bene — ma non cambia il cervello del sistema. È utile, ma non basta. Perché se la politica è solo vicinanza, chi è lontano smette di esistere? Se è solo empatia, dove finisce la responsabilità?
Maturana invece ci parla di sistemi che si auto-organizzano, di conoscenza come adattamento, di linguaggio come spazio in cui si costruisce la realtà. Non è poesia, è scienza. E la politica, se vuole sopravvivere al disordine del presente, ha bisogno di pensiero scientifico quanto di emozione. Ha bisogno di capire come funziona il mondo, non solo di rassicurarlo.
Certo, la visione di Maturana è meno televisiva, meno immediata. Non genera applausi, ma domande. Eppure, è da lì che dobbiamo ripartire. Da una politica che non si limita a camminare tra la gente, ma che si interroga su cosa stiamo diventando come sistema vivente.
Forse è impopolare dirlo — ma chi mi conosce sa che l’impopolarità non mi ha mai spaventato —: preferisco la complessità teorica di Maturana alla retorica della prossimità di Decaro. Perché la politica che si limita ad abbracciare rischia di non vedere ciò che ci tiene uniti davvero.
E oggi, più che mai, abbiamo bisogno di pensiero. Non solo di gesti.
Antonio Bruno