Matino, storia salentina tra pietra, memoria e devozione antica
di Antonio Bruno
Nel cuore del Salento, Matino si erge su una delle colline più alte della provincia di Lecce: quella di Sant'Eleuterio. Da qui si gode una vista mozzafiato che spazia fino al Golfo di Gallipoli. Il territorio si distingue non solo per la sua altitudine, ma anche per la presenza di formazioni geomorfologiche peculiari come le "gravine" del Reale e dell’Universo, canyon naturali tipici dell’area ionico-salentina, in parte intatti, in parte compromessi dalla cementificazione del Novecento.
Il viaggio nella storia di Matino inizia nel suo centro storico, un agglomerato affascinante di vicoli, corti e abitazioni scavate nella terra. Il Palazzo Marchesale è il cuore nobile del borgo. Costruito in forme attuali nel XVIII secolo, affonda le sue radici architettoniche in epoche più antiche: si suppone che la prima torre risalga al X secolo, successivamente trasformata in castello nel Cinquecento. L’attuale configurazione si deve probabilmente all’architetto napoletano Ferdinando Sanfelice, noto per il suo stile scenografico e movimentato tipico del barocco partenopeo. La presenza del Sanfelice a Matino è spiegata da legami familiari e nobiliari con i Del Tufo, una casata imparentata con i Ravaschieri, cui appartenne anche la seconda moglie dell’architetto.
Nel palazzo si trova anche un'area scavata direttamente nella roccia tufacea, utilizzata come cava per l’estrazione del materiale edilizio. Questo tipo di cava urbana è frequente nell'Italia meridionale, dove la pietra leccese e il tufo rappresentano una risorsa locale fondamentale fin dall’antichità.
Tra le scuderie affrescate e le stanze gentilizie del palazzo, si legge la storia della famiglia Del Tufo, narrata visivamente nei dipinti che celebrano i fasti dinastici, la devozione a Sant’Eligio (protettore dei cavalli) e la simbologia di potere e ricchezza.
Nel cuore del centro storico si snoda un tessuto urbano unico: case sotto il livello stradale, cantine scavate a mano, viuzze anguste come via Case Vecchie. Tutto il borgo è costruito seguendo la conformazione naturale del pendio collinare, senza alterazioni artificiali del terreno. Le corti, elemento tipico dell’architettura comunitaria salentina, abbondano: ogni corte aveva un santo protettore, mantenendo un senso di identità e sacralità collettiva.
Un altro elemento identitario di Matino è la presenza di ben 14 frantoi ipogei. Già nel Settecento, la produzione di olio d’oliva costituiva una delle principali risorse economiche del paese. L’olio veniva esportato da Gallipoli in tutta Europa, utilizzato soprattutto per l’illuminazione nei paesi nordici. Il marchese Del Tufo possedeva direttamente otto di questi frantoi, testimonianza della centralità dell’olivicoltura nella storia locale.
A testimoniare la vitalità della memoria orale e popolare, emerge la voce della poesia in vernacolo. Versi struggenti raccontano la malinconia delle case abbandonate, il legame profondo con la terra, il fluire lento del tempo. La poesia diventa così strumento di resistenza culturale e di trasmissione identitaria.
Non manca la dimensione religiosa, rappresentata dalla Chiesa della Pietà, con un ciclo di affreschi tardo-barocchi e da San Giorgio, il santo protettore del paese. Una tradizione popolare narra che nel 1867, durante un’epidemia di colera, la statua di San Giorgio avrebbe trasudato. Un fazzoletto avrebbe asciugato quel sudore miracoloso, dando origine alla festa del patrocinio. Sebbene non vi siano cronache ufficiali dell’epidemia, un documento d’archivio parrocchiale parla chiaramente di un "colera morbus" che colpì la comunità in quell’anno.
Matino si rivela così un luogo stratificato, in cui si intrecciano storia, arte, devozione, cultura materiale e memoria popolare. Un paese che custodisce nella pietra e nella parola la sua identità secolare.
Bibliografia
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