Martina Carbonari: dal dolore alla responsabilità collettiva
di Davide Tommasi
Femminicidio ad Afragola: riflessioni e proposte urgenti
La tragica scomparsa di Martina Carbonari, giovane donna e vittima dell’ennesimo femminicidio, ha scosso profondamente il Paese nella serata di mercoledì 28 maggio. La sua vita spezzata non può essere liquidata come una delle tante notizie di cronaca nera. È una ferita che ci impone di fermarci, riflettere e, soprattutto, di agire.
I femminicidi non sono episodi isolati. Sono il sintomo di un’emergenza strutturale, che affonda le sue radici in un sistema culturale e sociale ancora intriso di diseguaglianze, stereotipi e dinamiche di potere malsane. Martina, come troppe altre giovani donne prima di lei, è il volto di una società che ancora fatica a prevenire e contrastare efficacemente la violenza di genere.
Filomena D’Antini: “Dal dolore alla responsabilità concreta”
A dare voce alla necessità di un cambio di rotta deciso e concreto è stata Filomena D’Antini, Consigliera Nazionale di Parità, che ha dichiarato:
“Intervenire sul piano familiare è una priorità assoluta. È indispensabile rendere obbligatoria la mediazione familiare per le coppie in fase di separazione o scioglimento del vincolo matrimoniale. Non possiamo più accontentarci del tentativo di conciliazione previsto oggi, troppo spesso limitato a un passaggio formale. Occorre una misura strutturata, rigorosa e incisiva, capace di fornire strumenti reali per la gestione del conflitto e di ridurre l’escalation delle tensioni che, troppo spesso, degenerano in violenza. La prevenzione deve iniziare da qui, dalle dinamiche familiari, prima che la rabbia diventi tragedia”.
Le parole di D’Antini mettono in evidenza una verità troppo a lungo ignorata: la prevenzione della violenza di genere non può limitarsi alla denuncia o all’assistenza postuma, ma deve iniziare a monte, con strumenti concreti di intervento nei momenti critici, come le separazioni e i divorzi.
Educazione e cultura: le fondamenta di una società nuova
Accanto agli interventi strutturali sul piano familiare, D’Antini ha sottolineato anche l’urgenza di un ripensamento radicale del sistema educativo:
“L’educazione civica non può più essere relegata a materia trasversale o residuale. Serve che diventi una disciplina autonoma, con un monte ore adeguato e con moduli specifici dedicati all’educazione all’affettività, al rispetto reciproco, alla parità di genere e alla prevenzione della violenza. Solo così potremo costruire una cultura nuova, che insegni ai giovani a riconoscere e a rifiutare la violenza in tutte le sue forme”.
Un dovere collettivo: dal lutto all’impegno
Oggi piangiamo Martina. Ma il nostro dolore, come ricorda D’Antini, deve trasformarsi in responsabilità collettiva. Ogni donna vittima di violenza rappresenta una ferita che riguarda tutti noi, come cittadini, come istituzioni, come società intera. Non possiamo più fermarci all’indignazione del momento, non possiamo più delegare il cambiamento.
La morte di Martina deve diventare un simbolo di rinascita sociale e civile. Serve una strategia nazionale, condivisa e continua, che coinvolga istituzioni, scuole, famiglie, media e associazioni. Un impegno congiunto e permanente per sradicare la violenza di genere e costruire una cultura fondata sul rispetto, sulla parità e sulla non violenza.
Il tempo delle parole è finito. Ora è il momento dell’azione. E il futuro di tante donne – e della nostra società – dipende dalle scelte che sapremo fare oggi.