LE PUGLIE, NON LA PUGLIA

di Antonio Bruno

In questi giorni si parla di autonomia differenziata come se fosse la scoperta dell’acqua calda. Si alzano i soliti cori: chi teme la frantumazione del Paese, chi sogna un’Italia a macchie di leopardo. Ma il vero problema, forse, è che stiamo discutendo della cornice senza guardare il quadro.

Prendiamo la Puglia. O meglio: le Puglie, come dicono i più attenti alla geografia dell’anima. Perché a Foggia non parlano come a Bari, e a Taranto non pensano come a Lecce. Ci sono dialetti che si ignorano tra loro, tradizioni che si guardano in cagnesco, economie che puntano a obiettivi diversi. Sotto lo stesso nome abbiamo riunito mondi che si parlano appena, e poi ci stupiamo se la “Regione” fatica a fare sintesi.

Il dibattito politico, intanto, si concentra su chi candida chi, chi mette il veto a chi, chi perde e chi vince alle urne. Nessuno che osi chiedersi se le Regioni, nate per essere il pilastro del decentramento e della democrazia pluralista, abbiano ancora un senso.

Oggi su quotidiano “DOMANI” Pino Pisicchio ricorda che la storia delle Regioni è divisa in due fasi. La prima, dal 1970 al 2001, è stata quella dell’adolescenza: una progressiva conquista di autonomia politica e istituzionale. La seconda, dopo la riforma del Titolo V, avrebbe dovuto essere la maturità: un federalismo “morbido”, capace di responsabilizzare i territori. Invece è diventata l’età ingrata, fatta di contenziosi con lo Stato, inefficienze, e una dipendenza finanziaria che è passata dal 41 al 72 per cento dei trasferimenti centrali.

Pisicchio osserva che la pandemia ha mostrato in mondovisione la fragilità del regionalismo: ospedali che non si parlano, protocolli diversi a ogni confine, governatori trasformati in piccoli feudatari mediatici.

E allora? Allora, forse, è il momento di dire addio alle Regioni. Passare tutte le competenze ai Comuni, che conoscono i loro cittadini, e alle Province, che possono coordinarli senza giocare a fare i piccoli Stati. L’Italia dei Comuni non è un’invenzione: è la nostra storia. Perché ostinarsi a fingere che siamo un Paese fatto di Regioni, quando siamo un arcipelago di città?

Forse il vero patriottismo, oggi, è avere il coraggio di ammetterlo.


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