L’assedio dimenticato: Gallipoli e la resistenza ghibellina nel Mezzogiorno angioino
Di Antonio Bruno AGRONOMO
Istituzione: Associazione dei Dottori in Agraria e Forestali della provincia di Lecce
Nel grande teatro medievale d’Europa, mentre la settentrionale Chartres scolpiva la sua cattedrale e l’Inghilterra dei Plantageneti si lacerava tra baroni e corona, nel profondo Sud italiano si combatteva una guerra che nessuna chanson de geste avrebbe celebrato. Una guerra senza eroi vittoriosi, ma piena di dignità e sangue. È la guerra degli ultimi ghibellini, quella che infiammò la Calabria e la Terra d’Otranto dopo la caduta di Corradino di Svevia. Una lotta di frontiera, in cui il diritto diventava arbitrio, e la politica si confondeva con la vendetta.
Era l’estate del 1268, e Corradino marciava verso Roma, mentre il mare davanti a Messina era campo di battaglia tra la flotta pisana e quella provenzale. Ma non fu il mare a tradire Corradino, fu la piana di Tagliacozzo, il 23 agosto. Lì, il giovanissimo erede svevo fu ingannato dalla mossa strategica di Alardo di Valéry, generale francese che aveva nascosto una riserva di cavalieri decisiva. Fu disfatta. E fu, soprattutto, il crollo delle speranze imperiali in Italia.
“Corradinus... cum paucis equitibus fugere coactus est; capitur... decapitatur” — annota freddamente Saba Malaspina, cronista pontificio.
Eppure, proprio quando sembrava che il gioco fosse finito, il fuoco riapparve sotto la cenere. Tra il 1268 e il 1269, nelle terre più remote del Regno, inizia la rivolta. La Calabria si solleva, la Terra d’Otranto si arma. A Lucera, i Saraceni, antichi alleati e sudditi di Federico II, rifiutano di piegarsi al nuovo re. Sono combattenti esperti, fieri e ormai circondati. Ma non si arrendono. È una guerra santa rovesciata: i musulmani di Lucera contro il “cristiano” Carlo d’Angiò, inviato del papa.
Le fonti vaticane non nascondono l’inquietudine del papato, da poco orfano di Clemente IV, morto il 29 ottobre 1268, proprio quando serviva più di ogni altro. “Vacante sede apostolica, molti in Italia ripresero a confidare nella casa sveva”, scrive un documento vaticano custodito nei Registri Vaticani. Senza un papa forte, la legittimità angioina vacilla.
A Gallipoli, le mura diventano rifugio per molti nobili ribelli, esuli dal regno. Il pseudo-Jamsilla, nella sua Cronaca, ci consegna un’immagine drammatica:
“Gallipolis... munitissima erat civitas, plena armatorum et nobilium, qui fidem prestiterant Corradino. Longum fuit obsidium, dura fames.”
L’assedio durò mesi. Fu fame, fu isolamento. Carlo d’Angiò, che nel frattempo progettava la crociata con Luigi IX di Francia, non poteva permettersi una macchia nel sud del suo regno. Il 8 maggio 1269, Gallipoli si arrende. È la fine simbolica della resistenza ghibellina nel Salento.
Nel giugno dello stesso anno, partono le confische. I Registri Angioini riportano una sistematica redistribuzione dei beni:
“Castrum Montis, cum omnibus pertinentiis, datum est domino Nicolao de Breta, pro bono servitio contra rebelles.”
Non solo terre: anche matrimoni forzati, deportazioni, espropri, ordini religiosi puniti per aver dato ospitalità ai ribelli. Tutto ciò avveniva mentre, nel resto d’Europa, il papa tentava di riportare la crociata in Terra Santa, e i sovrani europei guardavano con sospetto al potere francese in Italia. Lo stesso Enrico d’Inghilterra, reduce dalla propria guerra civile (la Seconda Guerra dei Baroni), scriveva al papato chiedendo chiarimenti sulla “dominazione straniera” in Sicilia.
Le Annales Januenses, cronaca della Repubblica di Genova, aggiungono un altro tassello. Dal punto di vista commerciale, l’instabilità nel Regno di Napoli minacciava i traffici con l’Oriente. I genovesi erano preoccupati: i porti meridionali erano diventati instabili, e Gallipoli, una volta snodo mercantile, era ora città fantasma.
Alla fine del 1270, il regno sembrava domato. Carlo poteva partire per Tunisi con il fratello Luigi (che lì morirà, poco dopo lo sbarco). Ma sotto la cenere restava un’inquietudine. I figli di Federico II erano scomparsi, ma non la sua idea: un Regno italiano forte, indipendente da Parigi e Roma.
E in questa vicenda minore, nell’assedio dimenticato di Gallipoli, si cela un frammento di quella visione. Una resistenza ostinata e tragica, forse destinata alla sconfitta, ma non all’oblio. Perché, come scrive ancora Malaspina, “melius est mori pro libertate quam vivere in servitute”.
Bibliografia
Malaspina, Saba. Cronisti e scrittori sincroni napoletani, ed. Del Re, Napoli 1868.
Annales Januenses. Annali della Repubblica di Genova.
Registri Angioini. Codice diplomatico del Regno di Carlo I e Carlo II d’Angiò, Napoli 1863–1902.
Pseudo-Jamsilla. Cronaca di Jamsilla, in Rerum Italicarum Scriptores, ed. Muratori.
Documenti Vaticani. Registri Vaticani da Innocenzo III a Nicola IV, a cura di D. Vendola, Trani 1940.
Cazzullo, Aldo. Le donne erediteranno la terra, Mondadori, 2021.
Settia, Aldo A. Battaglie medievali, Laterza, 2002.
Abulafia, David. Federico II. Un imperatore medievale, Einaudi, 1992.