Il tempo che si ferma: la lezione dei superager
di Antonio Bruno
Ogni tanto la scienza ci regala storie che sembrano uscite da un film, solo che non c’è Mastroianni a interpretarle. È il caso dei cosiddetti superager, ottantenni che hanno la memoria e la lucidità di persone di trent’anni più giovani. Gente che a un test di memoria ricorda 9 parole su 15, mentre noi comuni mortali, a 80 anni, già ci perdiamo dopo la lista della spesa.
La Northwestern University di Chicago li studia da 25 anni. Risultato: i loro cervelli invecchiano piano, hanno meno segni di Alzheimer, cellule più sane e neuroni più resistenti. Insomma, dentro di loro l’orologio biologico sembra fermo. Ma il punto, signore e signori, è che non basta avere un cervello da Formula 1: i superager sono anche persone socievoli, che vivono, che si muovono tra amici, comunità e relazioni. Non passano le giornate davanti alla televisione a contare le pubblicità.
E qui la scienza ci prende un po’ in giro. Perché ci dice che sì, la genetica conta, ma se ti chiudi in casa come un eremita, il cervello ti si arrugginisce. La solitudine è un lubrificante al contrario: invece di farti scorrere meglio, ti incolla. E allora la ricetta, che non costa nulla, è semplice: più vita, più rapporti, più curiosità.
Certo, sarebbe bello pensare che esista una pillola miracolosa che ci regala lucidità fino a novant’anni. Ma mentre aspettiamo che la scoprano, possiamo cominciare col fare due chiacchiere al bar, coltivare un hobby, non smettere di interessarci al mondo. È questo che fanno i superager: non sopravvivono, vivono.
La verità è che il segreto non è nei laboratori ma nelle nostre abitudini: un caffè con un amico, una risata in compagnia, la curiosità di imparare ancora qualcosa. E se qualcuno pensa che a 80 anni sia troppo tardi, i superager rispondono: “Guarda che siamo appena all’inizio”.
Morale della favola? Non serve fermare l’orologio. Basta non smettere di usarlo.