Il Salento Megalitico: Pietre Antiche tra Storia e Oblio

di Antonio Bruno

Il Salento, lembo estremo della Puglia proteso tra i due mari, non è solo terra di ulivi secolari, mare cristallino e barocco leccese. È anche una delle culle della civiltà megalitica del Mediterraneo, con un patrimonio di specchie, dolmen e menhir che racconta una storia antichissima, spesso trascurata.

Queste strutture litiche, erette da popolazioni preistoriche, sono la testimonianza di una cultura che fiorì millenni fa, in un’epoca in cui l’uomo imparava a dominare la pietra e a modellare il paesaggio. Eppure, oggi, molte di queste opere rischiano di scomparire, vittime dell’incuria, dell’ignoranza e dello sviluppo urbano incontrollato.

Le specchie: fortezze o tombe?

Le specchie sono cumuli di pietre a forma conica, alti fino a dieci metri, che punteggiano le campagne salentine. Alcuni studiosi, come Cesare Teofilato, le hanno interpretate come antiche fortificazioni, forse risalenti all’epoca messapica. Altri, invece, le considerano tumuli funerari, simili a quelli descritti da Omero e Virgilio.

Scavi condotti negli anni ’40 dalla Soprintendenza alle Antichità della Puglia hanno rivelato che alcune specchie nascondono celle sepolcrali e frammenti di ceramica, confermando la loro funzione funeraria. Eppure, molte sono state smantellate nel corso del Novecento per ricavarne materiale da costruzione. Un destino comune a tanti monumenti megalitici in Italia e nel mondo.

I dolmen: le tombe dei giganti

I dolmen, piccole camere rettangolari formate da lastroni di pietra, sono forse i più affascinanti tra i megaliti salentini. Quelli di Giurdignano, scoperti tra fine ‘800 e inizio ‘900, sono orientati verso est, un dettaglio che richiama i dolmen di Bisceglie e quelli della lontana Cornovaglia.

Anche qui, però, il tempo e l’uomo hanno fatto danni. Alcuni dolmen sono stati distrutti, altri ridotti a ruderi. Eppure, in altre parti d’Europa – dalla Bretagna alla Sardegna – strutture simili sono diventate attrazioni turistiche, protette e valorizzate. Perché in Salento no?

I menhir: pietre sacre cristianizzate

I menhir, colonne di pietra infisse nel terreno, sono forse i più misteriosi. Alcuni superano i sette metri d’altezza, come quello di Martano. La Chiesa, nel Medioevo, li “battezzò” incidendovi croci e trasformandoli in Osanna (dal greco Hosanna), punti di ritrovo per processioni e benedizioni.

Oggi molti menhir sono scomparsi: abbattuti per far posto a strade, vandalizzati o distrutti nella folle ricerca di tesori nascosti. Eppure, in altre regioni d’Italia – come in Sardegna con i suoi nuraghi – questi monumenti sono diventati simboli identitari.

Un patrimonio da salvare

Il Salento megalitico è un tesoro fragile. Se in passato studiosi come Cosimo De Giorgi e Giuseppe Palumbo ne hanno documentato l’esistenza, oggi servono nuove iniziative per tutelarli.

In Europa, siti come Stonehenge o Carnac sono meta di milioni di visitatori. Perché non valorizzare anche i megaliti salentini? Un progetto di recupero potrebbe trasformarli in un museo a cielo aperto, attrattiva per turisti e studiosi.

Prima che sia troppo tardi.

Bibliografia

  • De Giorgi, C. (1905). Le specchie in Terra d’Otranto. Lecce.

  • Drago, C. (1954). Specchie di Puglia. Bullettino di Paletnologia Italiana.

  • Gervasio, M. (1913). I dolmen e la civiltà del bronzo nelle Puglie. Bari.

  • Palumbo, G. (1955). Inventario delle pietrefitte salentine. Rivista di Scienze Preistoriche.

  • Teofilato, C. (1929). Specchia Miano centro di civiltà primitiva nella Messapia.

Casi simili nel mondo

  • Stonehenge (Regno Unito): il più famoso sito megalitico.

  • Carnac (Francia): allineamenti di migliaia di menhir.

  • Nuraghi sardi: torri preistoriche patrimonio UNESCO.

  • Dolmen di Antequera (Spagna): complessi funerari protetti.

Il Salento ha tutto per diventare una nuova meta del turismo archeologico. Basta volerlo.


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