Il piacere di essere serviti
di Antonio Bruno
Accade spesso, più di quanto siamo disposti ad ammettere: confondiamo il piacere di essere serviti con l’essere amati. È una sottile trappola psicologica. Quando qualcuno si prende cura di noi, ci agevola, si mette al nostro servizio, una parte profonda – infantile – della nostra psiche si convince che quel gesto sia amore. Ma non è così.
Il piacere di essere serviti è strettamente collegato al potere, non all’amore. Chi ci serve lo fa spesso perché ci attribuisce un ruolo, perché si aspetta qualcosa in cambio. E anche se noi non chiediamo esplicitamente, il nostro ruolo, la nostra posizione, crea un’aspettativa nell’altro. Non è amore: è dipendenza, tornaconto, necessità.
Questo piacere genera un’illusione: crediamo di essere al centro del cuore dell’altro, quando invece siamo al centro di un meccanismo psicologico di compensazione. E quando questo equilibrio si incrina – quando temiamo che ciò che deve accadere non accada, quando percepiamo la frustrazione di un desiderio non soddisfatto – il corpo reagisce. Si attiva il desiderio sessuale, spesso senza un vero oggetto d’amore. È una risposta biologica, un tentativo di calmare la tensione.
L’atto sessuale diventa allora una valvola, non un incontro. Un rifugio dalla delusione, un modo per sentirsi vivi quando l’anima si sente mancante.
La vera cura è guardarsi dentro, accorgersi dell’inganno. E domandarsi: sto davvero amando o sto solo esercitando potere? Sto cercando tenerezza o controllo? Solo quando ci svestiamo del bisogno di essere serviti, possiamo aprirci a un amore vero.