Il Paesaggio Rubato

di Antonio Bruno

C'è un'Italia che non appare nei depliant turistici, un'Italia che non raccontiamo con orgoglio ma con vergogna: è quella dei campi lasciati a se stessi, delle serre chiuse, dei frutti marciti sull’albero. Paradossale? No, reale. Gli imprenditori agricoli professionali, quelli che avrebbero dovuto essere i custodi della nostra terra, oggi in troppi casi vivono di assistenza pubblica. Contributi, agevolazioni, fondi europei: tutti strumenti utili se finalizzati a investire. E invece? Non si investe. Si preferisce sopravvivere col minimo garantito, senza assumere giovani, senza innovare, senza nemmeno garantire condizioni di lavoro dignitose. E chi lavora, spesso, è un migrante trattato come uno schiavo, pagato due euro l’ora per raccogliere frutta che finirà... al macero.

La crisi agricola è un fallimento culturale, non solo economico
Il settore è schiacciato da bassi prezzi di mercato, costi di produzione elevati e condizioni climatiche sempre più estreme. Ma la risposta qual è stata? Abbandonare i campi di angurie e meloni perché non redditizi, mentre milioni di italiani fanno la fila alle mense della Caritas. Speculazione commerciale, concorrenza sleale di prodotti importati spacciati per locali, filiere distorte dove l’intermediario guadagna e il contadino chiude: questa non è agricoltura, è un paradosso sociale.

Il nodo è la gestione del paesaggio, non solo del profitto
La terra non è una fabbrica: è un bene comune. E se il privato fallisce, come sta fallendo, allora occorre il coraggio di pensare ad un Ente Pubblico per la gestione del paesaggio rurale. Un ente che assuma giovani agronomi, investa in infrastrutture per la resilienza climatica, protegga le tipicità locali (dal melone brindisino all’uva da tavola pugliese), garantisca trasparenza alimentare con etichettature chiare, combatta lo sfruttamento del lavoro e riduca lo spreco alimentare. In Francia esistono le Terres de Liens; negli Stati Uniti le Land Trust salvano terreni agricoli dal degrado; in Olanda le cooperative pubbliche innovano l'agricoltura urbana. Funziona altrove, può funzionare anche qui.

Un futuro possibile
Occorre voltare pagina. Restituire dignità al lavoro agricolo, liberare i migranti dalla schiavitù, far entrare i giovani nel settore, e considerare il paesaggio come una risorsa strategica nazionale. Perché se oggi lasciamo che la terra muoia, domani non avremo né cibo, né paesaggi, né memoria. E allora, davvero, “è meglio accendere una candela che maledire il buio”: che quella candela si chiami Ente pubblico del Paesaggio Rurale.



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