Il ciliegio salentino: un'opportunità che viene dalla terra

di Antonio Bruno dottore agronomo

Certe volte basta guardare meglio le cose che abbiamo sotto il naso per scoprire una strada nuova, una possibilità che prima non vedevamo. Pensiamo al Salento. Un territorio che ha sofferto, negli ultimi anni, una ferita profonda: quella della Xylella fastidiosa, che ha cambiato il volto degli ulivi, delle campagne, dell’economia rurale. Ma anche qui, dove la natura ha mostrato il suo lato più duro, la terra non ha smesso di suggerire soluzioni. Una di queste si chiama ciliegio.

Già, il ciliegio.

Una pianta che forse non associamo subito a Lecce o a Gallipoli, ma che sta trovando il suo posto proprio tra le pieghe delle difficoltà. Perché? Perché, come ci dicono gli scienziati del CNR di Bari, il ciliegio non teme troppo la Xylella. È resistente. O, come si dice in campagna, “tiene botta”.

Parliamo di numeri: nelle piante di ciliegio il batterio è stato trovato in meno dell’11% dei casi. Negli ulivi, invece, parliamo di oltre il 74%. Una bella differenza. E allora viene naturale chiedersi: e se il ciliegio potesse rappresentare una seconda occasione per il nostro paesaggio agricolo?

La tecnica c’è: il vaso multiasse

Chi vive di terra lo sa: non basta piantare un albero. Ci vuole mestiere, pazienza, innovazione. Oggi molti agricoltori salentini stanno riscoprendo il sistema di allevamento a vaso multiasse. Nome difficile, ma concetto semplice: la pianta si sviluppa in più rami principali, come una mano aperta. Così si raccoglie meglio, si pota da terra, si protegge più facilmente con le reti. E poi, soprattutto, inizia a produrre già dal terzo anno.

Per una terra che deve ripartire, tre anni sono un tempo breve e pieno di speranza.

Le varietà? Meglio se locali

Nel Salento si coltivano anche varietà autoctone, come la ‘Mascialora’. Ce la siamo tenuta stretta per anni, un po’ in sordina, e adesso torna utile. È resistente, si adatta bene al suolo povero, e non ha bisogno di tanta acqua né di troppo freddo in inverno, cosa che da queste parti scarseggia.

Le coste sono miti, le piogge sempre più rare. Ci vogliono quindi ciliegi “intelligenti”, moderni, capaci di dare frutto anche con poco. E alcune varietà brevettate, come la Sweet Aryana®, sembrano nate apposta per questo clima.

Quanto costa? Quanto rende?

E qui veniamo al sodo, perché la poesia non riempie i portafogli.

Un ettaro di ciliegeto costa circa 12.000 euro per partire. È un investimento, non una spesa a perdere. Dal quarto anno, con una buona gestione, si può arrivare a raccogliere 12-15 tonnellate, con un ricavo che va dai 20.000 ai 27.000 euro. Togliendo i costi di gestione, può restare in tasca un utile netto di 10-15.000 euro l’anno.

Non è la luna, ma è un reddito dignitoso. Soprattutto se pensiamo che alcune aziende salentine già lo fanno, come i fratelli Nestola a Galatone, o AgriBioSalento a Cutrofiano. Realtà piccole, vere, che dimostrano che si può fare.

La terra è sempre un ritorno

Il ciliegio nel Salento non è solo un’alternativa agricola. È anche una risposta di dignità a chi pensava che la Xylella avesse detto l’ultima parola. Non è così. La terra, se la rispetti e la ascolti, ti risponde. E ogni ciliegio piantato è un gesto di fiducia nel futuro.

Perché in fondo, come mi piaceva dire spesso:

“Le cose cambiano. Ma se hai radici buone, anche il cambiamento può essere un nuovo inizio.”

Fonti

  1. L'Informatore Agrario – Ciliegio e innovazione

  2. PAT Puglia – Varietà pugliesi di ciliegio

  3. Cherry Times – Cerasicoltura del Sud Italia

 

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