Discorsi Mediterranei porta diritti, storie e musica a Patù
di Antonio Bruno
C’è qualcosa di profondamente simbolico nel portare un festival sulle migrazioni e sui diritti umani in un borgo come Patù, un lembo di terra che guarda il mare come una promessa e una sfida. Il Mediterraneo, con le sue onde cariche di speranza e di paura, non è mai stato solo una distesa d’acqua: è una piazza, un confine, un ponte. Forse anche un grande specchio in cui vediamo riflesso quello che siamo.
Il 6 e 7 settembre, a Palazzo Romano, “Discorsi Mediterranei” torna a far parlare il Sud con il mondo. Due giorni di conversazioni, incontri, laboratori, musica. Due giorni per chiedersi che cosa significhi davvero “inclusione”, senza trasformarla in un’etichetta da convegno.
Paolo Paticchio, presidente dell’Istituto di Culture Mediterranee, ricorda che questo festival nasce per dare voce “a chi ogni giorno lavora per costruire società più giuste e inclusive”. In un tempo in cui la parola “diritto” viene pronunciata spesso e difesa di rado, la sfida è decolonizzare lo sguardo: imparare a raccontare le storie senza ridurle a statistiche o slogan.
E così, accanto a storici, docenti, giornalisti e attivisti – da Donato di Sanzo a Eliana Augusti, da Ndack Mbaye a Wissal Houbabi – il pubblico troverà laboratori per ragazzi, mostre crossmediali e musica, perché il pensiero, quando è libero, balla. La prima serata si chiuderà con il concerto di Antonio Castrignanò e Ziad Trabelsi, la seconda con il DJ set di La Pam.
Se i borghi del Sud rischiano di svuotarsi, eventi come questo provano a riempirli di idee. Forse non fermeranno le partenze, ma possono dare un motivo per tornare. Perché il Mediterraneo, per restare mare, ha bisogno di essere attraversato. Ma per restare umano, ha bisogno di essere ascoltato.