Capucanale: il banchetto contadino che celebra la fatica
di Antonio Bruno
“Uehi patrunu! Iti ca t’ha stennere allu capucanale!” – con queste parole, ironiche ma cariche di aspettativa, gli operai si rivolgevano al loro datore di lavoro nei paesi del Sud Italia, specialmente in Puglia. Si trattava di un richiamo a un’antica usanza, il capucanale, una sorta di rituale laico che celebrava la fine di un ciclo di lavoro faticoso e fondamentale, come la raccolta del grano, la vendemmia o la conclusione di una gettata di cemento nella costruzione di una casa.
Il termine capucanale, come ricorda Valeria Coi nel suo diario Facebook, affonda le radici nel latino baccanalia, riferendosi quindi ad antichi rituali festosi in onore di Bacco. Ma nel contesto contadino e operaio del Mezzogiorno, questa tradizione si è trasformata in un pranzo offerto dal “patrune” agli operai, un gesto di riconoscenza per l’impegno profuso, ma anche una forma di coesione sociale e rispetto reciproco.
Un banchetto luculliano, ma con sapori della terra
Il capucanale era un giorno atteso con ansia. Non solo per la sospensione del lavoro, ma soprattutto per il cibo. Il pranzo era definito “luculliano”, anche se composto da piatti semplici e robusti, tipici della cucina popolare:
Orecchiette cu la ricotta asckante (ricotta forte) oppure condite con un saporito ragù di pecora;
Involtini e polpette, simbolo di festa in ogni tavola del Sud;
Verdure crude a stimolare l’appetito: lacciu (sedano), fenucchiu (finocchio) e tiaulichiu asckante (peperoncino piccante);
E, naturalmente, il tutto era innaffiato generosamente da vino: Negroamaro, Primitivo o Malvasia, vini forti e intensi, come la terra da cui provengono.
Oltre il cibo: un rito sociale
Il capucanale non era solo nutrimento per il corpo. Era riconoscimento, condivisione e alleanza temporanea tra classi sociali divise nel quotidiano. Il “patrune”, spesso figura distante, in quel giorno sedeva con gli operai, rompendo il pane e – almeno simbolicamente – le distanze. Era anche un modo per ricompensare la fatica con un momento di gioia, per ringraziare e rafforzare i legami umani ed economici all’interno della comunità.
Una tradizione da riscoprire
Oggi, in un’epoca in cui i rapporti lavorativi sono spesso impersonali e fugaci, la memoria del capucanale ci offre una riflessione importante: sul valore del lavoro, sulla dignità di chi lo compie e sull’importanza del riconoscimento reciproco.
Recuperare questa tradizione non significa solo replicare un pranzo contadino, ma ricostruire un senso di comunità, riscoprendo quei momenti in cui il lavoro era anche occasione di festa, rispetto e condivisione.