Calimera e Martano, paura e disagio.

di Davide Tommasi

Un uomo in difficoltà psichiatrica crea tensione tra i residenti. Servono cure, non rabbia.

Calimera-Sta facendo discutere e preoccupare le comunità di Calimera e Martano la vicenda di un uomo di origini senegalesi, affetto da gravi disturbi psichiatrici, che negli ultimi giorni è stato protagonista di numerosi episodi di disturbo alla quiete pubblica e aggressioni. Scene riprese e diffuse in fretta sui social e nelle chat locali, alimentando sconcerto, paura, e in alcuni casi, rabbia.

Le immagini lo mostrano mentre si immerge vestito in una fontana pubblica, mentre urla frasi sconnesse, o ancora mentre lancia pietre verso chi gli passa accanto. Scene che, oltre a impaurire i cittadini, raccontano il dramma di una solitudine umana e istituzionale.

Non si tratta di un semplice “disturbatore”, ma di una persona che vive una profonda fragilità psichica. Da tempo è seguito dal Centro di Salute Mentale di Lecce, ma il sistema di gestione dei pazienti con disagio mentale sembra non essere in grado di rispondere in modo efficace a situazioni come questa.

«Ha imbrattato i muri di alcune chiese, molestato ragazze, fermato auto per scrivere sulle carrozzerie con lo spray. La gente ha paura a uscire da sola», racconta una residente di Calimera. E in effetti il clima che si respira in paese è quello dell’esasperazione. «Il problema – spiega Luigi Mazzei, coordinatore provinciale di Puglia Popolare – è che c’è il rischio concreto che qualche testa calda decida di farsi giustizia da solo. Non possiamo permetterlo. Serve un intervento concreto, strutturato, e definitivo».

Il sindaco di Martano, Fabio Tarantino, sottolinea: «Il Tso non è bastato. È stato ai domiciliari dopo aver creato scompiglio in un supermercato. Questo uomo deve essere curato, seguito, protetto. Non può essere lasciato in giro senza un progetto di cura. Così si mettono in pericolo lui e i cittadini».

Anche il sindaco di Calimera, Gianluca Tommasi, conferma che i carabinieri sono intervenuti: «È stato portato via qualche giorno fa. Mi auguro che adesso venga trovata una soluzione definitiva, perché il problema non può scaricarsi sui cittadini».

Ma il vero problema non è il singolo episodio. È più grande. È il fallimento strutturale di un sistema che dovrebbe prendersi cura di chi soffre, ma troppo spesso si limita a tamponare l’emergenza.

Le storie di disagio psichico lasciate a sé stesse sono tante, troppe, e non solo in provincia di Lecce. Mancano posti letto nelle strutture adeguate, manca personale specializzato, mancano progetti di reinserimento graduale. Il risultato? Persone con malattie psichiatriche gravi che vengono dimessi troppo in fretta, senza un reale percorso terapeutico, con conseguenze spesso drammatiche sia per loro che per chi li incontra.

Dietro quella follia c’è malattia. Dietro quella paura c’è abbandono istituzionale. È la fotografia amara di un’Italia che parla di salute mentale solo quando scoppia l’emergenza. Ma la salute mentale non può essere lasciata al caso, non può essere trattata come un problema secondario.

Oggi c’è un uomo in difficoltà che vaga per le strade. Domani potrebbe succedere di nuovo, altrove. E il pericolo non è solo per chi viene aggredito, ma anche per le stesse persone malate, che rischiano di essere vittime due volte: prima dell’abbandono sanitario, poi della rabbia collettiva.

Servono strutture adeguate, serve personale, servono fondi. Ma serve soprattutto una cultura diversa. Dove il disagio mentale non venga visto solo come una minaccia, ma come una realtà da accogliere con serietà, competenza e umanità.

Non si tratta di buonismo. Si tratta di civiltà.

Perché il grado di civiltà di un paese si misura anche – e soprattutto – da come tratta i suoi cittadini più fragili.

E qui, c’è ancora tanta strada da fare

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