San Cesario e il suo cuore sportivo – una storia di comunità, sudore e rinascita
di Antonio Bruno
In fondo, le storie che valgono la pena di essere raccontate non sono quasi mai quelle delle luci della ribalta. Non sono fatte di flash, di coppe luccicanti o di interviste gonfiate dal vento della vanità. Sono piuttosto quelle che restano nei margini, dove la cronaca si fa memoria e la memoria si fa radice.
E allora oggi vi parlo del centro sportivo San Salvatore a San Cesario, che non è il Foro Italico né il Maracanã, ma per tanti ragazzi degli anni ’60 e ’70 è stato proprio questo: un piccolo mondo fatto di racchette consumate, di campi in terra battuta più rossa che regolare, di palloni che sapevano di libertà e di un’estate che sembrava non finire mai.
Io c’ero, in quei giorni. Mi iscrissi a un corso di tennis sull’onda lunga dell’impresa di Adriano Panatta agli Internazionali di Roma. Era il tempo in cui ogni racchetta impugnata da un ragazzo conteneva un sogno e ogni sacerdote che stava vicino a quei ragazzi era un compagno di viaggio, non solo un pastore.
Il nome che torna, oggi come allora, è quello di don Gino Scardino. Ma attenzione: don Gino non è uno di quei personaggi da cartolina, quelli che si ricordano solo per i discorsi solenni. Don Gino è un uomo che ha vissuto la polvere del campo, che ha respirato l’energia viva della gioventù, che ha spinto con le proprie mani – e con il cuore – la rinascita di un luogo che sembrava dimenticato.
Per anni quel centro sportivo era rimasto in silenzio, come una casa disabitata. Ma poi, un giorno, qualcosa si è rimesso in moto. Forse per nostalgia, forse per amore, forse per quell’insopprimibile senso di responsabilità che certi uomini si portano dentro come un marchio.
E oggi, mentre sotto la pensilina si gode un po’ di fresco, mentre il fondo è già pronto per il pavimento industriale che verrà steso domani, mercoledì 18 giugno 2025, si respira qualcosa di raro: la bellezza di un’opera fatta non per tornaconto, ma per dignità. Per spirito di comunità. Per i giovani, sempre loro.
Non c’è pubblicità in questo scritto. Non ce n’è bisogno. Se mai, c’è un invito alla solidarietà. A ricordare che una palestra, un campo, un centro sportivo non sono solo muri o superfici da calpestare. Sono l’anima concreta di un paese che non si arrende, che vuole continuare a educare, a crescere insieme.
Bravo don Gino. Ma non solo per oggi. Per tutto quello che sei stato e che continui ad essere. Perché nel tuo servizio c’è qualcosa di eterno, qualcosa che profuma di quegli anni ruggenti, quando i ragazzi avevano le ginocchia sbucciate e il cuore pieno di futuro.
E San Cesario, grazie a te e a chi ti cammina accanto, oggi quel futuro lo può ancora sognare. Ma, soprattutto, costruire.