Salento, la Terra Dimenticata che ha Fatto la Storia
di Antonio Bruno Dottore in Scienze Agrarie
Salento incisione su un vaso attico smaltato in nero del V sec a.C.
C’è una parte d’Italia che per secoli è rimasta quasi fuori dalle mappe. Non dalle carte, forse, ma dall’immaginario. Eppure è una terra antichissima, che ha dato molto alla storia e alla civiltà del nostro Paese. È il Salento, o come si diceva un tempo, la Terra d’Otranto.
Per chi viaggiava nell’Ottocento, questa parte estrema della Puglia appariva come un mondo a parte. Non era facile capire dove finisse e dove iniziasse, cosa fosse Salento, cosa fosse Terra d’Otranto, e cosa Provincia di Lecce. E poi: che fine aveva fatto l’antica Calabria? E la Messapia, citata dai Greci e dai Latini?
Nel 1861, con l’Unità d’Italia, la geografia amministrativa tentò di mettere ordine: nacque la “Provincia di Lecce o di Terra d’Otranto”, che comprendeva anche Taranto e Brindisi. Ma i confini culturali e storici restavano confusi. Alcuni parlavano ancora di Antica Calabria; altri si riferivano alla Japigia o alla Messapia. Una babele di nomi, stratificati nei secoli.
Nel 1877, il grande storico tedesco Ferdinand Gregorovius scriveva con disappunto: «La maggior parte dei miei lettori non sa dove sia Lecce, e quando nomino Gallipoli, Manduria, Francavilla, mi guardano come se parlassi dell’Asia Minore». Non era colpa della gente, aggiungeva. Era la politica, la storia, a non aver fatto il suo dovere: «Non è una terra chiusa o inaccessibile. Tutt’altro. È viva, consapevole della propria grandezza passata». Ma il buio era calato lo stesso. Un buio culturale, prima ancora che geografico.
Nel 1889, Pietro Viti recensiva con amarezza una “Nuova Geografia Universale” che, parlando della Terra d’Otranto, conteneva più errori che notizie. Lo stesso diceva Martin Briggs, architetto inglese, che trovava assurdo dover descrivere “una città sconosciuta” come Lecce, città di pietra e di luce, cuore del barocco meridionale.
Eppure le fonti non mancavano. Già nel Cinquecento Antonio de Ferraris, detto “il Galateo”, aveva scritto un’opera straordinaria: De situ Japygiae. Una descrizione precisa, appassionata, del territorio salentino, ignorato dal celebre Italia illustrata di Flavio Biondo. Poi era arrivato Leandro Alberti con la sua “Descrizione d’Italia”, che nel Cinquecento cercava di mettere ordine. Ma col passare dei secoli, il silenzio tornò a calare su questa terra.
Tra il Seicento e l’Ottocento, mentre le enciclopedie e le guide turistiche cominciavano a diffondersi, la Terra d’Otranto restava ai margini. Cosimo De Giorgi, medico e scienziato leccese, lo scriveva senza giri di parole: «L’Italia è il Paese meno conosciuto dagli Italiani». E denunciava le assurdità che leggeva nelle geografie contemporanee.
La fiaccola della conoscenza, per fortuna, non si spense mai del tutto. Giacomo Arditi, con la sua “Corografia fisica e storica”, raccolse testimonianze, mappe, dati. E De Giorgi, nei suoi Bozzetti di viaggio, pur negando intenti geografici, contribuì a tenere viva la memoria del territorio.
Il problema, del resto, era anche nei nomi. Tanti, troppi. E spesso contraddittori. “Calabria”, “Messapia”, “Japigia”, “Salento”, “Terra d’Otranto”, “Provincia di Lecce”: ogni epoca ha usato un’etichetta diversa, senza mai chiarire del tutto il confine tra immaginazione e realtà. Lo ricordava anche Theodor Mommsen: perfino in epoca romana, i confini fra Peucezi e Messapi non erano chiari. E lo stesso valeva nei secoli successivi: Fasano, Cisternino, Monopoli — erano parte della Terra d’Otranto? Culturalmente sì, amministrativamente no.
Nel Novecento, la situazione si chiarì solo in parte. Intanto si diffondevano le guide: Baedeker, Murray, Hachette. Arrivavano i primi viaggiatori colti, desiderosi di scoprire una terra che sembrava fuori dal tempo. Giuseppe Gigli scrisse due volumi memorabili: Il Tallone d’Italia, parte della collana Italia Artistica diretta da Corrado Ricci. Fu la prima volta in cui testo e immagini si unirono per raccontare il Salento.
Ma già secoli prima, Galateo aveva tracciato la sua mappa ideale: dal Metaponto a Capo d’Otranto, da Egnazia a Massafra. Una striscia di terra tra due mari, ricca di città antiche e di memorie profonde.
La geografia, nel Salento, non è mai stata solo questione di confini. È storia, identità, racconto. È il peso del tempo che si sente nelle pietre, nei vicoli, nelle parole. E la vera sfida, allora come oggi, non è semplicemente sapere dove finisca la Terra d’Otranto. È ricordarsi che questa terra non è mai stata marginale. È stata, anzi, uno dei cuori pulsanti del Mediterraneo.
Bibliografia
Antonio de Ferraris "il Galateo", De situ Japygiae, a cura di G. C. Alfano, Congedo Editore, Galatina, 1974 (rist. anastatica dell’edizione del 1558).
Cosimo De Giorgi, Bozzetti di viaggio: la provincia di Lecce, Congedo Editore, Galatina, 1975.
Giacomo Arditi, Corografia fisica e storica della provincia di Lecce, Tipografia di Vincenzo Primavera, Lecce, 1879.
Giuseppe Gigli, Il Tallone d’Italia. La provincia di Lecce, in Italia Artistica, Istituto Italiano d’Arti Grafiche, Bergamo, 1926.
Ferdinand Gregorovius, Passeggiate per l’Italia meridionale, trad. it., Sellerio Editore, Palermo, 2001.
Martin S. Briggs, Barocco italiano, Laterza, Bari, 1927.
Pietro Viti, "Note e recensioni", in Rivista Storica Salentina, Lecce, 1889.
Flavio Biondo, Italia Illustrata, a cura di E. Di Dario, Istituto Poligrafico dello Stato, Roma, 2005.
Leandro Alberti, Descrizione d’Italia, Bologna, 1550 (edizioni moderne disponibili in anastatica).
Theodor Mommsen, Storia di Roma, vol. I–V, trad. it., Sansoni, Firenze, 1965.