Mercato del lavoro e prospettive occupazionali: quali profili per la crescita dell’economia leccese
Il mercato del lavoro a Lecce subisce gli effetti della stagionalità del turismo. Occorre perciò ripensarlo, indirizzando i giovani verso nuovi sbocchi e favorendo un’occupazione stabile e non precaria. È quanto emerso nel corso della sesta commissione consiliare che si è svolta questa mattina, a palazzo Carafa. Tema all’ordine del giorno “Mercato del lavoro e prospettive occupazionali: quali profili per la crescita dell’economia leccese”. Ha introdotto i lavori il presidente della commissione Bronek Pankiewicz. Ha preso la parola, poi, Davide Stasi, data analyst e cultore della materia in “Economia politica” all’Unisalento, che ha condotto una puntuale indagine socio-economica sulla provincia di Lecce.
Il mercato del lavoro è entrato ormai in una fase di cambiamento profondo. Da un lato crescono le opportunità in settori innovativi e specializzati, dall’altro persistono ostacoli dovuti al divario tra competenze richieste e disponibili.
La sfida per i prossimi anni sarà trasformare le previsioni in politiche attive, capaci di colmare il gap formativo e garantire un’occupazione sostenibile e di qualità.
Tra i settori a maggior potenziale si segnalano: sanità ed assistenza sociale, formazione, costruzioni, finanza, comparto tecnologico e Steam.
Sono richiesti, dunque, oltre a manodopera specializzata nei settori segnalati, anche tecnici specialisti e professionisti Steam che è l’acronimo di Science, Technology, Engineering, Art e Mathematics ovvero scienza, tecnologia, ingegneria, arte e matematica (ci si riferisce a un approccio educativo interdisciplinare che integra le materie scientifiche con l’arte per sviluppare pensiero critico, creatività e capacità di problem-solving negli studenti, preparandoli meglio al mondo del lavoro).
L’invecchiamento della forza lavoro richiede anche un continuo aggiornamento delle competenze. L’avanzare dell’età può ridurre le abilità lavorative, mentre le trasformazioni del mercato del lavoro, legate ad esempio, alla digitalizzazione e alla transizione verde, accelerano l’obsolescenza delle conoscenze. L’apprendimento permanente è dunque fondamentale per mantenere la produttività e la crescita dell’attività economica, ma va tenuto conto che la partecipazione alla formazione, in generale, tende a diminuire con l’avanzare dell’età.
A Lecce e provincia, si osserva un saldo netto occupazionale positivo, dovuto a un numero maggiore di assunzioni rispetto alle cessazioni. In confronto con l’anno precedente, si assiste, per gli italiani, a una riduzione delle assunzioni a tempo indeterminato e un aumento delle assunzioni a tempo determinato. Per gli stranieri, si osserva un incremento sia delle assunzioni a tempo indeterminato che di quelle a tempo determinato.
In provincia di Lecce resta costante il tasso di occupazione a fronte di un calo del tasso di disoccupazione; ma aumenta di poco il tasso di inattività. I lavoratori dipendenti con contratti part-time rappresentano il 40,2 per cento dei lavoratori dipendenti totali, dato maggiore rispetto sia al valore regionale sia a quello nazionale.
Negli ultimi mesi si sono susseguiti dati in apparente contrasto tra di loro: l’aumento continuo degli occupati a fronte di un leggerissimo incremento del Pil. Il motivo va ricercato nelle retribuzioni che restano estremamente basse, ma non solo. Prendiamo in considerazione i dati Istat, in base ai quali negli ultimi tre anni è aumentato il numero degli occupati e nell’ultimo anno si è registrato il record, ricordando però che viene considerato occupato chi svolge anche solo un’ora di lavoro retribuito alla settimana.
Esaminando il dato del numero delle ore lavorate, si constata che è aumentato il numero delle ore complessivamente lavorate, ma è diminuito il numero delle ore lavorate per dipendente.
In pratica, è vero che ci sono più lavoratori, ma ciascuno di essi ha lavorato mediamente di meno. Il fatto che ciascun lavoratore abbia lavorato meno ore svuota la portata positiva dell’aumento dell’occupazione. Inoltre, cala la produttività. A fronte dell’aumento del numero degli occupati e delle ore complessivamente lavorate, si rileva una sostanziale stagnazione del Pil (+0,7 per cento negli ultimi due anni).
L’Istat ha certificato che è in calo sia la produttività per occupato (-0,7 per cento nel 2022, poi -2,5 per cento l’anno dopo e -0,9 per cento nel 2024), sia la produttività per ora lavorata (-0,7 per cento nel 2022, poi -1,2 per cento l’anno dopo e -1,4 per cento nel 2024).
Ecco spiegata l’apparente contraddizione tra il numero di occupati crescente e un Pil quasi stagnante, il cui rovescio della medaglia non può essere altro che un livello di retribuzioni particolarmente basse.