L’ultimo silenzio su Alvaro Vitali
di Davide Tommasi
La morte di Alvaro Vitali riapre il dibattito sull’oblio delle celebrità: polemiche per l’assenza del mondo dello spettacolo ai funerali.
Se n’è andato così, quasi in punta di piedi, come se non volesse disturbare. Alvaro Vitali, uno dei volti più riconoscibili della commedia italiana del dopoguerra, è morto a Roma pochi giorni fa, lasciando dietro di sé un silenzio assordante che ha scosso il mondo dello spettacolo, ma anche sollevato interrogativi amari su cosa resti davvero della fama una volta che le luci del set si spengono.
Lui, che con la sola espressione del volto sapeva strappare una risata intergenerazionale, è spirato lontano dai riflettori, in una quotidianità discreta, accompagnato soltanto dalla sua famiglia e da pochi affetti sinceri. E mentre attori, registi, comici e ammiratori di lunga data lasciavano messaggi di cordoglio sui social, ai suoi funerali si è presentato soltanto Carlo Verdone, unico volto noto di un mondo che un tempo lo aveva celebrato e acclamato. Un dettaglio che ha fatto rumore. Un’assenza collettiva che brucia, che pesa, che lascia spazio al dubbio: davvero ci si può dimenticare così facilmente di chi ci ha regalato tanto?
Un desiderio semplice: essere ricordato, non celebrato
Secondo quanto raccontato dalla sua famiglia, Vitali aveva espresso con chiarezza il desiderio di essere cremato, un gesto simbolico che, a posteriori, suona come un ultimo atto di discrezione da parte di un uomo che non ha mai cercato la ribalta quando questa non era più sua. Non ha voluto funerali in pompa magna, né cerimonie pubbliche: solo il rispetto della sua volontà, quello che forse ha cercato per tutta la vita, dentro e fuori dal set.
Fino a poco prima che la sua salute iniziasse a peggiorare in modo irreversibile, Alvaro desiderava fortemente rivedere il suo storico compagno di scena, Lino Banfi, con cui aveva condiviso risate, gag, successi e un’epoca d’oro del cinema comico italiano. In un video girato poco prima della sua scomparsa – diventato virale dopo la sua morte – lo si vede parlare con una dolcezza e una malinconia struggente proprio dell’amico Lino, dicendogli parole che oggi suonano come una preghiera silenziosa:
“Non mi abbandonare, Lino.”
Lino Banfi: “Quelle parole mi hanno fatto male”
Lino Banfi, visibilmente commosso, ha voluto ricordare pubblicamente Alvaro, ammettendo con onestà che quella richiesta lo ha ferito, lo ha scosso, lo ha fatto riflettere.
“La sua morte mi addolora profondamente – ha detto – perché mi ha lasciato delle parole che non dimenticherò. Voleva fare ancora qualcosa, magari un film sui nonni insieme, aveva delle idee, ma io in quel momento ero impegnato sul set di Un medico in famiglia. Ora mi rendo conto che forse avrei dovuto trovare il tempo, magari solo un'ora per abbracciarlo.”
In quelle parole c’è tutta la fragilità del legame umano, che spesso si consuma nei rimpianti più che nelle occasioni colte. Non era solo nostalgia: Alvaro Vitali voleva ancora vivere artisticamente, aveva voglia di raccontare, di essere ascoltato, magari per l’ultima volta.
Una fine in solitudine: il paradosso dei comici
Fa male pensare che un uomo che ha fatto ridere milioni di italiani, che ha prestato il volto a un’intera stagione cinematografica spesso snobbata dalla critica ma adorata dal pubblico, sia stato lasciato quasi solo nel momento più delicato, quello dell’addio. Fa ancora più male sapere che la sua solitudine non era solo fisica, ma probabilmente emotiva, come se qualcosa, col passare degli anni, si fosse spezzato tra lui e quel mondo del cinema che lo aveva reso celebre.
Perché il cinema è anche questo: un’industria che spesso dimentica, che ha memoria corta, che preferisce voltarsi verso il nuovo piuttosto che onorare chi ha contribuito a costruirne le fondamenta. Eppure, Alvaro Vitali non era un’icona da museo, non era un soprammobile della comicità anni ’70: era un uomo che, fino all’ultimo, ha cercato contatto, vicinanza, rispetto.
Un applauso che arriva tardi
A questo punto viene naturale chiedersi: quanto vale davvero il ricordo di un artista se arriva solo dopo la sua morte? Quante volte ci troviamo a celebrare, sui social o nei media, chi abbiamo ignorato in vita? E quante altre volte – senza cattiveria, per pura disattenzione – lasciamo che il tempo consumi anche gli affetti sinceri?
Alvaro Vitali meritava un ultimo applauso, non per dovere, non per protocollo, ma per affetto. Perché se oggi possiamo ancora ridere di certe battute, se esiste una memoria affettuosa della commedia popolare, è anche grazie a lui, al suo coraggio nel prestarsi a ruoli scomodi, al suo talento nel rendere comico anche il quotidiano.
E invece, quello che resta è un funerale vuoto, una sedia sola, una fiamma accesa e un silenzio che pesa come un macigno. L’ultimo ciak non ha avuto pubblico, se non quello silenzioso dei suoi fan, lontani ma grati.
Un comico non muore mai, ma può sentirsi dimenticato
Forse, la più grande ingiustizia non è morire, ma sentirsi dimenticati mentre si è ancora vivi. E forse questa è la lezione più dura che ci lascia la storia di Alvaro Vitali: quella di un uomo che ha dato tanto, e che avrebbe voluto, almeno alla fine, ricevere qualcosa in cambio. Non premi, non riconoscimenti: solo una presenza, un abbraccio, una mano sulla spalla. Una compagnia.