Lecce, il deserto degli ulivi: il paesaggio che brucia e nessuno raccoglie
di Antonio Bruno
La provincia di Lecce somiglia sempre di più a un cimitero. Gli ulivi, una volta custodi del territorio e dell’identità salentina, giacciono secchi, scheletri neri che si stagliano contro il cielo d’estate. Non piangono, ma minacciano: basta una scintilla per trasformare questa landa spettrale in un inferno di fuoco.
Ogni albero morto è un silenzioso attentatore: cadute improvvise, rami spezzati, incendi improvvisi. La legge, paradossalmente, permette di estirparli senza ostacoli: basta comunicare l’intervento. Eppure nulla accade. I proprietari restano immobili, le associazioni di categoria latitano, i proprietari non hanno risorse neppure per una semplice richiesta alla Regione Puglia. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: un paesaggio abbandonato, un rischio costante, una vergogna nazionale.
Serve coraggio, serve visione. L’unica via è trasformare la gestione privata in un impegno pubblico. Un ente capace di intervenire, rapido e organizzato, dove chi lo desidera diventa dipendente e riceve un stipendio per il servizio reso. Così i proprietari non perdono, ma partecipano a un progetto più grande: la sicurezza, la bellezza, la vita del territorio.
La Xylella ha ucciso gli ulivi, ma l’inerzia li ha trasformati in nemici. Se non ci prendiamo cura della terra, la terra diventerà la nostra condanna. Lecce non può più aspettare: il deserto degli ulivi non è solo una ferita estetica, è un allarme che grida responsabilità. Ogni scheletro che resta al suo posto è un incendio che aspetta di accendersi.
È tempo di agire. Prima che il vento porti via tutto.