Lecce e il tempo in cui le vie non avevano nome

di Antonio Bruno

In un’epoca in cui le città erano piccoli mondi chiusi, dove tutti si conoscevano e la storia si tramandava più per consuetudine che per iscrizione, Lecce viveva come una grande famiglia. Le sue strade, oggi così tracciate e nominate, un tempo non avevano bisogno di targhe. Bastava un nome, un accenno a una cappella o a una porta per orientarsi nel dedalo di pietra leccese. Era un modo di abitare lo spazio — e il tempo — che oggi ci appare remoto, eppure conserva un fascino profondo: quello della comunità, della memoria condivisa, della sacralità del quotidiano.

I "Portaggi", i quartieri della Lecce antica, non erano altro che le suddivisioni urbane che facevano riferimento alle quattro porte d’accesso alla città fortificata. A queste si accompagnavano le cosiddette "isole", agglomerati edilizi la cui definizione, curiosamente, non sempre coincideva con il nostro moderno concetto di “isolato”, ma indicava comunque un’unità urbana sufficientemente distinta da non necessitare altro riferimento.

I nomi delle porte — San Giusto, Rugge, San Biagio, San Martino — raccontano una topografia devota, segnata dalla presenza di cappelle e santi protettori. San Giusto, ad esempio, prendeva il nome da una cappelluccia dedicata all’omonimo santo e sorgeva nei pressi di quella che in origine era la Porta Romana. Dopo il passaggio di Ferdinando d’Aragona nel 1463 — quando venne a prendere possesso della Contea — e l’intervento urbanistico voluto da Carlo V nel 1548, la porta assunse un nuovo volto: più elegante, più monumentale, e un nuovo nome, Porta Reale. Poi vennero i francesi, i borbonici, l’Italia unita, e la porta si trasformò ancora, diventando Porta Napoli, e infine Arco di Trionfo nel 1871, anche se, come sottolinea il cronista, si trattava comunque di un’apertura nelle mura, per quanto ornata.

Rugge, invece, prendeva il nome dalla direzione verso cui conduceva: l’antica Rudiae, patria del poeta Quinto Ennio, ormai distrutta già nel Settecento, ma viva nella memoria toponomastica. Non a caso, nel XVIII secolo questa porta veniva anche chiamata San Oronzo, segno di una continua stratificazione storica e religiosa.

San Biagio e San Martino, similmente, derivavano le loro denominazioni da piccole cappelle, oggi scomparse, che costituivano i punti di riferimento spirituale e topografico dei quartieri. San Martino fu demolita nel 1826, ma ancora oggi si conserva il ricordo di una cappelluccia ormai diruta già nel Cinquecento.

Curioso notare, come scriveva Amilcare Foscarini, che in origine i portaggi fossero soltanto due: San Giusto e Rugge, come riportano gli Statuti di Maria d’Enghien, la grande contessa di Lecce, che nel primo Quattrocento governò una città fiera e operosa. Le altre due porte sarebbero sorte successivamente, a testimonianza di un’espansione urbana progressiva e di una necessità crescente di organizzazione civica.

Oggi Lecce è una città vibrante, meta di turisti e crocevia di culture. Ma sotto le luci dei bistrot e tra le vie intitolate ai grandi del Risorgimento e ai santi della tradizione, si nasconde ancora quella topografia arcaica, fatta di portaggi, cappelle, memorie tramandate a voce e nomi che erano mappe viventi. Era un mondo in cui l’identità non aveva bisogno di segnali stradali. Bastava dire: “Abito presso San Giusto”, e tutti sapevano chi eri.

Un tempo lento, antico. Un tempo che non tornerà. Ma che Lecce, con la sua pietra dorata e il suo cielo greco, continua a custodire.

Bibliografia:

  • Amilcare Foscarini, Guida storico-artistica di Lecce, Tipografia Salentina, Lecce, 1933.

  • Bianca Tragni, Maria d’Enghien. Principessa e regina del Medioevo, Adda Editore, Bari, 2003.

  • Giuseppe Cino, Memorie istoriche della città di Lecce, Lecce, 1763.

  • Notar Biagio Mangia, Note manoscritte sull’antica toponomastica leccese, Lecce, 1711 (citato in Foscarini).

  • Fabio Delle Donne, Lecce: le porte della città e la loro storia, Congedo Editore, Galatina, 1997.

  • Francesco Gabrieli, Rudiae, patria di Quinto Ennio, in “Archivio Storico Pugliese”, vol. 12, 1959.

 

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