Il grano di Otranto, memoria viva contro l’omologazione globale
di Antonio Bruno
Non è soltanto una festa patronale, né semplicemente un cartellone di eventi collaterali. “Il Granaio di Terra d’Otranto”, che dal 31 agosto al 3 settembre animerà Campi Salentina, è un piccolo laboratorio sociale, un tentativo – quasi ostinato – di rimettere al centro ciò che il tempo, la globalizzazione e l’omologazione hanno relegato ai margini: la terra, i cereali, i saperi antichi.
Domani, al Palazzo Adorno di Lecce, l’iniziativa sarà presentata dalle istituzioni: il presidente della Provincia Stefano Minerva, il sindaco Alfredo Fina, la presidente della Pro Loco Rita Perrone e il parroco don Gianmarco Errico. Ma al di là dei nomi e dei protocolli, la sostanza è un’altra: un territorio che cerca, con le proprie forze, di ricucire lo strappo tra memoria contadina e presente ipermoderno.
La quinta edizione della manifestazione non può essere letta come un semplice richiamo folklorico. In gioco c’è una questione più ampia: il rapporto tra comunità e risorse, tra identità locale e mercati globali. Parlare oggi di “grano” e di “cereali autoctoni” non significa evocare nostalgie rurali, ma interrogarsi su un modello di sviluppo che ha reso marginali le colture identitarie, preferendo spesso prodotti standardizzati e senza radici.
Campi Salentina, in questo senso, diventa emblema di una resistenza culturale. Qui il grano non è soltanto alimento, ma simbolo di coesione, di appartenenza, di un’idea di comunità che rischia di scomparire. Il fatto che questo percorso si intrecci con la festa patronale di Sant’Oronzo non è casuale: religione e civiltà contadina hanno da sempre condiviso il ritmo delle stagioni, i riti collettivi, la fatica e la gratitudine.
L’Italia, e il Salento in particolare, vivono una fase di transizione complessa: da un lato la spinta verso l’innovazione, dall’altro la necessità di preservare radici che rischiano di essere travolte. “Il Granaio di Terra d’Otranto” è un segnale, forse piccolo ma significativo, che ci ricorda come la modernità non debba necessariamente passare per la cancellazione del passato.