Il folk leccese escluso dalla festa di Sant’Oronzo
di Davide Tommasi
Il popolo dei social con Enzo Petrachi
Le strade di Lecce, anche quest’anno, si sono riempite di luci, bancarelle, eventi e musica in occasione dei festeggiamenti in onore di Sant’Oronzo, uno dei momenti più sentiti e attesi dalla comunità. Ma nonostante l’atmosfera festosa e il calendario ricco di appuntamenti, qualcosa è mancato. Anzi, qualcuno.
Per la prima volta dopo tanti anni, la voce simbolo del folklore leccese, Enzo Petrachi, non è stata inclusa nel programma ufficiale della festa. Nessuna canzone popolare, nessuna esibizione dal vivo, nessun omaggio alla tradizione musicale che, da decenni, accompagna la storia della città e ne rappresenta l’identità culturale più genuina.
Un’assenza che non è passata inosservata. Soprattutto perché è stato lo stesso artista a renderla pubblica attraverso un toccante post sui social, in cui ha espresso tutta la sua delusione e amarezza. Le sue parole hanno colpito nel segno, raggiungendo rapidamente centinaia di persone. Il post ha raccolto oltre 1200 reaction, quasi 300 commenti e decine di condivisioni: numeri che parlano chiaro e mostrano quanto il pubblico, non solo locale, sia ancora legato alla musica tradizionale e alla figura di Enzo Petrachi.
“Dopo tantissimi anni, è il primo Sant'Oronzo senza musica tradizionale leccese. Senza le mie canzoni, quelle di mio padre Bruno e quelle di tutti i leccesi. Mi sento esattamente così. Un po' come se fossi stato derubato o svuotato della mia funzione socio culturale”.
Un post che è molto più di uno sfogo: è un grido d’allarme culturale, un appello accorato affinché Lecce non perda il contatto con le sue radici. Perché il folk non è solo musica: è memoria collettiva, è storia popolare, è identità. È quel filo invisibile che unisce le generazioni e che racconta, con parole semplici ma potentissime, l’anima di un popolo.
Enzo Petrachi, figlio del compianto Bruno Petrachi, icona indiscussa della musica leccese, da anni porta avanti con passione e dedizione il testimone di famiglia. Le sue canzoni, conosciute e amate da intere generazioni, sono colonne sonore di feste, matrimoni, eventi pubblici e privati. Sono inni non ufficiali della città, pezzi di cuore che ogni leccese ha cantato almeno una volta.
Escludere questa parte così viva della cultura locale dalla festa dei Santi Patroni ha significato, per molti, una frattura. Una mancanza non solo sul piano artistico, ma anche simbolico. Sant’Oronzo non è solo una ricorrenza religiosa: è anche una celebrazione dell’identità leccese, che dovrebbe unire tradizione e innovazione, passato e presente, sacro e popolare.
Invece, quest’anno, qualcosa si è spezzato. Il programma ha scelto di virare verso altre proposte musicali, lasciando indietro quella che da molti è considerata l’anima autentica della città. Come se Lecce avesse deciso di voltare pagina senza rileggere ciò che è stato scritto finora.
Ma il popolo — soprattutto quello dei social — ha reagito. E ha fatto sentire la propria voce, schierandosi compatto con Petrachi. Non si tratta solo di nostalgia, ma di consapevolezza: senza la valorizzazione delle proprie radici, una città rischia di smarrirsi, di diventare anonima, di perdere quella luce che la rende unica.
E allora la riflessione è d’obbligo: può una festa così importante, simbolo di appartenenza e coesione sociale, fare a meno del suo cuore pulsante? Può Lecce rinunciare al suo folklore musicale senza perdere un pezzo di sé?
Il messaggio lanciato da Enzo Petrachi è chiaro:
“La difesa della tradizione è un valore imprescindibile, la salvaguardia della cultura locale è l’unico mezzo per conservare e valorizzare l'identità di una terra e dei suoi abitanti”.
Un messaggio che non dovrebbe cadere nel vuoto. Perché la tradizione, se ignorata, non muore all’improvviso, ma lentamente. E quando ce ne accorgiamo, spesso è troppo tardi.
Questa vicenda non è solo la storia di un artista escluso da un evento. È il simbolo di una battaglia più grande: quella tra omologazione e identità, tra ciò che siamo e ciò che rischiamo di diventare. E oggi, più che mai, serve coraggio per difendere le proprie radici.
Lecce è una città splendida, viva, accogliente. Ma è anche una città che non può dimenticare chi ne ha raccontato l’anima con la musica e con il cuore.