“A tavola col futuro (e con qualche sorpresa)”
di Antonio Bruno
Ho visto tante mode passare dalle nostre tavole. Negli anni Ottanta si scopriva il cous cous, negli anni Novanta arrivava il sushi e negli anni Duemila la pizza gourmet. Ora, amici miei, tocca al cavolo d’Abissinia. Nome scientifico: Brassica carinata. Non è il titolo di un romanzo di Camilleri, ma una pianta che in Sudamerica chiamano “la soia d’inverno” e che, in Brasile, stanno già spremendo per fare carburante per gli aerei. Capite? Una volta il cavolo finiva in minestra, oggi finisce in un Boeing.
E poi c’è Andrea Romeo con la sua SuperNaturale, che si è messo in testa di “rendere desiderabili consumi inevitabili”. L’ho visto portare in un evento romano un menù a base di farina di grillo. Sì, proprio il grillo. Io, a dirla tutta, il grillo me lo ricordo nelle fiabe, non nel piatto. Ma lui lo racconta con entusiasmo, e in effetti c’è una logica: proteine buone, poco impatto sull’ambiente.
Antonio Chiodi Latini e sua figlia Giorgia, a Torino, spingono sui legumi, bucce comprese. Mi piace questa idea di usare tutto, perché a casa mia mi hanno insegnato che non si butta via niente. Nel loro Emporio Vegetale, l’hummus non si fa solo di ceci, ma anche di piselli. Una volta avrei storto il naso, ora mi viene voglia di assaggiarlo.
E poi il genio degli chef: Matias Perdomo a Milano, che mescola midollo e plancton; Moreno Cedroni nelle Marche, che coltiva la spirulina nel suo “Orto Marino”; Gianfranco Pascucci a Fiumicino, che lavora con le lattughe di mare. In cucina sembrano tutti un po’ scienziati pazzi, ma con il vantaggio che alla fine quello che producono si mangia.
C’è anche chi pensa ai condimenti: Salvatore Camedda, in Gallura, mette la lavanda nei piatti. Luigi Seccia, a Napoli e Roma, mette il miele sulla pizza per bilanciare il piccante. Sono dettagli, ma raccontano un mondo: quello in cui tradizione e innovazione si incontrano senza litigare.
E così, mentre nel resto del pianeta si sperimentano proteine dall’aria, carne coltivata e imballaggi intelligenti, in Italia continuiamo a fare quello che sappiamo fare meglio: prendere l’innovazione e cucinarla a modo nostro.
Perché il futuro del cibo, secondo me, sarà proprio questo: non perdere la memoria del gusto – quella che viene dal nostro orto, dalle ricette di famiglia – ma avere il coraggio di assaggiare anche ciò che, fino a ieri, ci sembrava impensabile.
Buon appetito. E questa volta, magari, anche al grillo.