sabato, Aprile 20, 2024
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Mattarella “Non potevo sottrarmi”

Rieletto presidente della Repubblica con 759 voti, è secondo Capo Stato più votato della storia dopo Pertini: “Accetto per senso di responsabilità”

Sergio Mattarella rieletto presidente della Repubblica con 759 voti, il maggior numero di preferenze dopo Sandro Pertini. “I giorni difficili per la grave emergenza sanitaria, economica e sociale richiamano al senso di responsabilità” che impone “di non sottrarsi ai doveri cui si è chiamati”, che prevalgono “su altre considerazioni e su prospettive personali differenti”, ha detto dopo la sua rielezione.

Quando Mattarella ha raggiunto il quorum della maggioranza assoluta, pari a 505 voti, l’aula del Parlamento gli ha tributato circa 5 minuti di applausi. Un nuovo, lunghissimo, applauso dell’aula ha salutato l’annuncio del presidente della Camera, Roberto Fico, che lo ha proclamato presidente della Repubblica. Con una breve dichiarazione Fico, accompagnato dalla presidente del Senato, Elisabetta Casellati, ha comunicato a Mattarella, in un breve incontro al Quirinale, l’avvenuta rielezione. Con 759 voti, è il secondo capo dello Stato più votato della storia, dopo Sandro Pertini, che resta al primo posto con 832 consensi.

Mattarella ha accettato la rielezione a presidente della Repubblica per “senso di responsabilità” e “rispetto delle decisioni del Parlamento”. “I giorni difficili trascorsi per l’elezione alla presidenza della Repubblica, nel corso della grave emergenza che stiamo tuttora attraversando sul versante sanitario, su quello economico, su quello sociale, richiamano al senso di responsabilità e al rispetto delle decisioni del Parlamento. Queste condizioni impongono di non sottrarsi ai doveri cui si è chiamati e naturalmente debbono prevalere su altre considerazioni e su prospettive personali differenti” ha affermato il presidente della Repubblica, dopo aver ricevuto la comunicazione dell’elezione. Mattarella ha accettato l’elezione “con l’impegno di interpretare le attese e le speranze dei nostri concittadini”. “Desidero ringraziare i parlamentari e i delegati delle Regioni per la fiducia espressa nei miei confronti”, ha detto ancora il capo dello Stato.

La riunione del Parlamento in seduta comune per il giuramento e il messaggio del presidente della Repubblica si terrà giovedì 3 febbraio alle 15.30.

Draghi

“La rielezione di Sergio Mattarella alla Presidenza della Repubblica è una splendida notizia per gli italiani. Sono grato al Presidente per la sua scelta di assecondare la fortissima volontà del Parlamento di rieleggerlo per un secondo mandato”, ha dichiarato il presidente del Consiglio, Mario Draghi.

Mattarella bis, le differenze con Napolitano

Nel 2013 toccò a Giorgio Napolitano rispondere all’appello per il rinnovo dell’incarico. A nove anni di distanza sono emerse le diverse sfumature delle modalità con cui si arrivò all’epilogo. Enrico Letta, allora vice segretario del Pd, andò a guidare il governo di larghe intese che nacque come conseguenza del doppio mandato di Napolitano. “C’era l’idea che andassero da Mattarella i leader politici ma io ho pensato che, in una fase nella quale le sgrammaticature costituzionali sono già parecchie, la scelta migliore sia che vadano i capigruppo”, ha raccontato ai grandi elettori del Pd. I due bis hanno una base di partenza comune: la situazione di emergenza, oggi appesantita dal Covid, lo stallo politico e delle istituzioni. In questi giorni ci sono state l’impossibilità dei partiti di trovare una intesa su un nuovo nome e la girandola di nomi bruciati. Nel 2013 c’erano stati i 101 nel Pd che terremotarono il Pd, un quadro politico molto fragile consegnato dalle urne e Beppe Grillo pronto a invocare la protesta di piazza e a marciare sul Parlamento.

Con questo quadro, nel 2013 si decise che dovessero essere i leader di partito a chiedere a Napolitano il ‘sacrificio’. Lo schema utilizzato per arrivare al bis di Mattarella è stato però differente, pur in un contesto che per emergenza e straordinarietà non è da meno. La richiesta avanzata da parte dei leader, come ha spiegato Letta, è stata considerata “un’altra sgrammaticatura costituzionale”. Forse anche in riferimento alla candidatura, bruciata, della seconda carica dello Stato. E allora si è rivolto lo sguardo al Parlamento. Del resto, erano stati i grandi elettori a battere il primo colpo nel sesto scrutinio, venerdì, con 336 voti al capo dello Stato nonostante dai partiti non fosse arrivata alcuna indicazione in tal senso. Per questo si è deciso che a salire il Colle sarebbero stati i capigruppo di maggioranza, a portare proprio la voce del Parlamento. A seguire, una delegazione dei grandi elettori delle Regioni. E Mattarella, benché avesse “altri programmi”, alla fine ha dato il via libera.

Pd

“Ecco the winner!”. Dario Franceschini saluta così Enrico Letta in pieno Transatlantico. Il segretario, che non ha mai nascosto di aver lavorato per l’ipotesi di Mario Draghi al Colle, comunque non ha mai mancato di ripetere che il Mattarella bis sarebbe stato “il massimo”. E lo aveva ripetuto anche domenica scorsa alla vigilia dell’avvio delle votazioni, in tv da Fabio Fazio: “Per noi sarebbe la soluzione ideale”. Tuttavia i giorni al limite della surrealtà della partita del Colle, lasciano scorie pesanti nel campo del centrosinistra, aprendo una crepa nella fiducia dei parlamentari Pd nell’alleato Giuseppe Conte. Prima l’operazione su Frattini e soprattutto quella di ieri sera su Belloni -entrambe in asse con Matteo Salvini- hanno scatenato l’ira tra i dem. E adesso che succede? “Ma nulla”, risponde un big del Pd all’Adnkronos. “Noi non facciamo nulla, vediamo che succede lì dentro… Noi abbiamo avuto il nostro momento difficile, a febbraio dello scorso anno, dopo le dimissioni di Zingaretti, ora loro faranno i loro chiarimenti”. Lo stesso Letta non nasconde il caos della serata di venerdì: “C’è stato un corto circuito mediatico che ha reso complessa la gestione della vicenda, ma oggi (ieri, ndr) ho avuto un lungo un incontro della coalizione, in cui c’è stato un chiarimento necessario, che ritengo sufficiente”. E poi aggiunge a chiudere la questione: “Se mi fido di Conte? Sì”.

M5S

Chiusa la partita del Colle con la rielezione di Sergio Mattarella, nel M5S tira aria da resa dei conti. E si parla, con sempre più insistenza, di frattura (se non addirittura di prossima scissione) tra l’ala ‘contiana’ del Movimento 5 Stelle e l’area che invece fa capo al ministro degli Esteri Luigi Di Maio, il quale venerdì sera, con una nota, ha pubblicamente sconfessato il metodo che aveva portato all’individuazione della direttrice del Dis Elisabetta Belloni come possibile candidata alla presidenza della Repubblica. Una distanza evidente quella tra il titolare della Farnesina e il leader pentastellato Giuseppe Conte, plasticamente rimarcata dall’assenza di Di Maio all’assemblea congiunta nella quale, all’ora di pranzo, il presidente del Movimento ha annunciato ai grandi elettori grillini il voto a sostegno di Mattarella. “Credo che anche nel M5S serva aprire una riflessione politica interna”, ha detto Di Maio avvertendo: “Ho sentito dire in questi giorni che Draghi deve restare a Chigi, il più alto profilo per gestire la crisi che stiamo vivendo. Sono pienamente d’accordo, e per farlo dobbiamo metterci subito al lavoro da domani, perché il paese ha sacrosante priorità e spero che nessuno da domani si metta ad alimentare giochini, tensioni o divisioni”.

Fdi e Lega

Elisabetta Belloni “era un profilo neutrale, una soluzione autorevole e adeguata nel caso dello stallo” sulle elezioni per il Quirinale. Giorgia Meloni lo sottolinea a ‘Porta a Porta’, spiegando di non aver votato Mattarella perché “la considero una forzatura costituzionale” con cui “barattiamo 7 anni di presidenza con sette mesi di legislatura” per la paura dei parlamentari di andare al voto. Salvini come gliel’ha spiegato? “Non me l’ha spiegato”. Il leader della Lega dice: “Rispetto Fdi, ha fatto scelta di opposizione, l’anno scorso dicendo no a Draghi e ora no a Mattarella, la Lega ha fatto un’altra scelta”. “Ognuno fa il suo mestiere, la Meloni dirà allora non va bene Draghi, non va bene Mattarella”, “ma io penso che Mattarella è convincente e rassicurante”, ha aggiunto Salvini.

Centristi

Fino all’ultimo i ‘centristi’ hanno lavorato per portare Pier Ferdinando Casini al Colle. L’accordo tra i partiti di entrambi gli schieramenti sembrava cosa fatta. Ma poi qualcosa è andato storto e tutti hanno preferito aggrapparsi alla ciambella di salvataggio del Mattarella bis, ipotesi rimasta sempre sullo sfondo. Per capire cosa è accaduto bisogna riavvolgere il nastro. Già fallita alla vigilia della quarta votazione per i dubbi di Lega e Fdi, l’operazione ‘Casini for president’ è stata tenuta coperta e condotta sotto traccia da Fi e una parte dei ‘centristi’ del centrodestra (Udc, Noi per l’Italia e Cambiamo) per tutta la giornata di venerdì. Poi la svolta, poco prima di mezzanotte, quando Antonio Tajani, su input di Silvio Berlusconi, annuncia di tenersi le mani libere per trattare con la sinistra su un nome condiviso per il Quirinale, smarcandosi da Matteo Salvini e Giorgia Meloni. Il numero due azzurro incontra nella notte, a lungo, Maurizio Lupi, Lorenzo Cesa, Antonio De Poli, Giovanni Toti e Gaetano Quagliariello. Con il numero due forzista anche Licia Ronzulli e i capigruppo di Camera e Senato, Paolo Barelli e Anna Maria Bernini. Attovagliati nel privé del ristorante Maxela di piazza della Maddalena, a pochi passi da Montecitorio, nasce il ‘patto centrista’ per spingere un politico, l’ex presidente della Camera, al Colle più alto con una maggioranza Ursula, coinvolgendo Pd, M5S e Iv, con la benedizione del Cav. Pallottoliere alla mano, si fanno calcoli su calcoli per verificare se ci sono i numeri in Parlamento.

Le manovre centriste, raccontano, arrivano alle orecchie di Salvini, che capisce l’antifona, si vede già tagliato fuori dai giochi e decide di fare un’inversione a ‘U’ in zona Cesarini, rompendo l’asse con Giuseppe Conte su Elisabetta Belloni per puntare su Mattarella bis. Anche Fdi subodora qualcosa e sospetta che fallito ora il blitz su Casini, il patto Ursula possa poi rispuntare sul proporzionale. Bruciata la carta Casini e raggiunto alla fine di una giornata sull’ottovolante l’accordo bipartisan per la rielezione dell’attuale capo dello Stato, resta però la novità politica dell’asse Fi-centristi nel nome del Ppe, che rivendica i suoi spazi nel centrodestra e marca le distanze dal fronte sovranista Salvini-Meloni.

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