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La relazione Dia sulla ‘ndrangheta.

 Il Porto di Gioia Tauro e le faide nella Piana.

Interessi imprenditoriali e conseguente enorme potere economico, infiltrazioni nei comuni, rapporti con altre consorteria mafiose, cocaina e faide. Tutto questo (e molto altro) rappresentra la necessità di “acuire il livello di vigilanza” sulla ‘ndrangheta, secondo quanto si legge nella Relazione semestrale della Dia al Parlamento, che riguarda il primo semestre del 2014.
“L’interesse imprenditoriale della ‘ndrangheta costituisce l’elemento caratterizzante che da tempo si e’ esteso dal territorio calabrese verso altre regioni”. E poi ancora:  “Il quadro della minaccia proveniente dalla criminalita’ calabrese – prosegue la Dia – si completa con il potenziale economico delle cosche che consente di orientare, con successo, i propri interessi verso i circuiti economici”.
ndrangheta relazione diaMolti i sequestri e le confische di beni riconducibili ai clan calabresi, che hanno riguardato anche altre regioni, che per gli esperti della Dia “costituiscono il riscontro oggettivo sugli ormai sperimentati meccanismi che conducono, attraverso la fase di accumulazione finanziaria, a sistematiche iniziative volte al riciclaggio e al reimpiego di capitali sui circuiti economico-imprenditoriali”.
Sulle infiltrazioni nei comuni la Dia è chiara: “Gli episodi di condizionamento che affliggono gli enti locali calabresi sono diventati una ciclica emergenza che perdura da tempo e che pone, anche nell’anno in corso, la Calabria quale regione interessata dal piu’ alto numero di provvedimenti di scioglimento di Comuni per infiltrazione mafiosa: sono state commissariate quattro amministrazioni comunali”.
La Dia si sofferma con particolare riguardo al porto di Gioia Tauro, confermandolo come il luogo di transito della cocaina proveniente dal Sud America ed i Piromalli sono la cosca di rilievo nella Piana.
Ed è proprio in questo contesto che matura l’operazione “Puerto Liberado”, che darà vita a 13 arresti eccellenti. Una vera e propria ”squadra”, un gruppo affiatato di soggetti che per via della loro attività professionale all’interno del porto, riusciva ad organizzare i turni e le presenze, per favorire l’arrivo della cocaina da stoccare e farla uscire dal porto eludendo i controlli di sicurezza.
A capitanare il gruppo criminale erano i fratelli Brandimarte, Giuseppe e Alfonso, entrambi ex dipendenti di una società di gestione della banchina merci del porto.
I due fratelli erano col tempo riusciti a creare un vero e proprio sistema di import che, attraverso messaggi in cifrati con codici alfanumerici, consentiva l’acquisto di ingenti quantitativi di cocaina dai cartelli dei narcos sud americani.
Giuseppe ed Alfonso Brandimarte che, dopo l’arresto del capo, per i fatti inerenti la faida Brandimarte-Priolo, aveva subito preso le redini del gruppo criminale. La gestione era talmente oculata che i capi del clan avevano studiato con una cura maniacale una serie di strategie per sfuggire ai controlli delle forze dell’ordine. Bradimarte girava addirittura su un’auto blindata.
Tutto sino all’omicidio di Michele Brandimarte, avvenuto a Vittoria (Ragusa) il 14 dicembre scorso. Ad auto accusarsi dell’omicidio Domenico Italiano
Eppure proprio la nascita della faida Brandimarte-Priolo, secondo il sito “Casadellalegalità.it”, avrebbe ragioni “private”:
“Era accaduto che PERRI Vincenzo, l’omicida, aveva affrontato qualche giorno prima la vittima, PRIOLO Vincenzo, per difendere l’onore della propria famiglia, a motivo di una relazione che quest’ultimo aveva avuto con BRAMDIMARTE Damiana, cugina dello stesso PERRI.
La mattina dell’8/7/2011 PRIOLO Vincenzo – affiancato da MARCIANO’ Vincenzo e dagli altri due soggetti poi arrestati con lui per rissa aggravata – era intenzionato a dare l’ennesima lezione a PERRI Vincenzo, già percosso e minacciato nei giorni precedenti.
PERRI, che viaggiava a bordo di uno scooter, veniva intercettato e fermato nei pressi di un’area di servizio lungo la S.S. 111 e aggredito da PRIOLO Vincenzo e dai suoi amici, tra i quali MARCIANO’ Vincenzo.
Durante la colluttazione PERRI riusciva, però, a estrarre un revolver dai pantaloni e ad esplodere in rapida successione quattro colpi all’indirizzo di PRIOLO Vincenzo, ferendolo a morte.
MARCIANO’ Vincenzo e gli altri soggetti coinvolti nella rissa venivano ascoltati dagli inquirenti, ma serbavano in proposito il tipico atteggiamento mafioso: nessuno di loro riferiva particolari sull’episodio.
Nella pagina di facebook, con oltre 200 “like”, è proprio Damiana Brandimarte a commentare pubblicamente (sotto il video che ne ricostruisce le fasi concitate dell’aggressione): “come si può definire omicidio volontario quando un’uomo viene aggredito mentre va a lavorare? se la legge italiana non applica la LEGITTIMA DIFESA in tal caso.. mi kiedo quando sarà applicata”.
P.s.: In riferimento alla relazione fra Damiana Brandimarte e Vincenzo Priolo, riportata dai colleghi del sito “Casa della legalità.it”), va precisato che i due non hanno avuto una relazione occasionale, ma erano sposati. Successivamente Damiana Brandimarte ha lasciato Vincenzo Priolo avviando le pratiche per la separazione.

 

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